Perché iniziare un articolo sulla possibile guerra sul fronte libanese con un riferimento all’oscura legge sui rabbini regionali? Finora questi ultimi venivano eletti dalle autorità locali. Ma al partito ultra-ortodosso orientale Shas è stata promessa una riforma.

La riforma che il primo ministro Benyamin Netanyahu ha promesso, permetterà di trasferire la decisione nelle mani del ministro della religione, ovviamente appartenente al partito Shas.
Si tratta di diverse centinaia di posti, salari, influenze, una delle varie forme di corruzione del sistema politico israeliano. Un’ulteriore crisi minaccia la presunta stabilità del governo: improvvisamente il nostro indaffarato premier si accorge che diversi membri del suo partito, sindaci e altri, non accettano di votare a favore di una legge piuttosto scandalosa. Non si preoccupa troppo dell’erosione della legalità provocata dalla corruzione imperante, ma naturalmente non può ignorare il malcontento.

Netanyahu è determinato a sfruttare tutte le opportunità per prolungare la guerra, sia a Gaza che nel nord di Israele. Ma ormai quello che era considerato ieri un grande vincitore, un eccelso diplomatico, l’astro degli israeliani, è un leader sbiadito, screditato; anche nel suo partito si sentono critiche importanti.

Deve essere chiaro che per Netanyahu la fine del regno significherebbe la prosecuzione dei processi che potrebbero portarlo in carcere. E gli israeliani, compresi i suoi elettori, ritengono ormai ben poco credibili le sue dichiarazioni e promesse.

Fino a un mese fa, un ritardo in una presa di posizione ufficiale del premier veniva magari giustificato con la necessità di «rispettare la santità del sabato», ma ecco che quando unità speciali in un’azione super popolare hanno liberato quattro prigionieri israeliani a Gaza, Netanyahu e consorte si sono affrettati a partecipare a ogni sorta di eventi suscettibili di riparare un po’ la loro sbiadita immagine, con l’eterna «signora Ceausescu» a raccontare a tutti i media che suo marito era tanto coinvolto, risoluto, preoccupato per la sorte degli ostaggi.

Israeliani e libanesi si trovano oggi sull’orlo di un precipizio che preferirebbero evitare e che può portarli a una guerra tragica. La poderosa forza aerea israeliana e i 100-150 mila missili nelle mani di Hezbollah potranno lasciare entrambi i paesi davvero soddisfatti delle rispettive «vittorie». Il Libano distrutto cercherà di contare sull’aiuto di Europa e Stati uniti per sperare, nei prossimi decenni, di riuscire a ricostruirsi dopo aver seppellito i morti. E gli aerei di Israele potranno sorvolare città semidistrutte, simili a Gaza oggi, o forse meno danneggiate delle città libanesi.

L’Iran non è sicuro di voler continuare a spingere Hezbollah verso uno scontro totale. Gli Stati uniti vogliono fermare Israele a Gaza. L’unica possibilità di arrivare a un cessate il fuoco nel nord di Israele passa attraverso il prolungato intervento dell’inviato degli Stati uniti Amos Hochstein, che avrebbe già espresso un possibile accordo al desiderio di intervento di Macron, visti gli interessi francesi in Libano.

Hochstein, rappresentante speciale di Joe Biden, già mediatore nell’accordo israelo-libanese sul gas nel conteso confine marittimo tra i due paesi, dopo una breve visita in Israele è arrivato in Libano ed esprime anche preoccupazione per il possibile intervento dell’Iran in caso di guerra.

Il premier Netanyahu ha promesso agli israeliani la «vittoria finale», la liberazione degli ostaggi, la conclusione positiva dell’attuale capitolo che vede la sua immagine deteriorarsi ogni giorno di più. Gli israeliani guardano pieni di dubbi e di sfiducia a quello che era visto come un leader popolare che assicurava la vittoria e oggi è considerato l’autore del fallimento del 7 ottobre. La menzogna e la corruzione sono il fattore dominante sulla scena israeliana di oggi.

Il vicepresidente del Parlamento israeliano (del Likud) ha affermato che i manifestanti contro il governo sono uno strumento di Hamas e solo dopo diverse ore e veementi proteste si è scusato: dice che si è trattato di un equivoco. Da Miami, il figlio di Netanyahu, nelle privilegiate condizioni di chi non è minacciato dal servizio militare e gode della protezione ufficiale israeliana, continua a sputare ogni giorno veleno e diffamazioni. Adesso si tratta di sapere chi ha fatto parte della delazione o del tradimento che ha facilitato l’attacco di Hamas… i sospetti di Yair Netanyahu toccano anche il comandante dell’esercito, il capo dei servizi segreti e altre personalità. Naturalmente non il primo ministro.

A Gerusalemme decine di migliaia di israeliani continueranno a manifestare contro il governo. La richiesta delle dimissioni del governo e di nuove elezioni si fa sempre più forte. Ma le alternative sembrano ogni giorno più tristi. Di fronte alla rabbia di chi chiede il ritorno dei prigionieri (la maggioranza dei quali, tuttavia, probabilmente non è più in vita), di fronte al disgusto per un governo che continua a distribuire milioni di dollari ai discutibili sostenitori di Netanyahu, di fronte a elementi che sembrano aprire le porte all’ottimismo, alla caduta del governo e al cambiamento, già si levano le forze di un imponente fascismo messianico. L’estrema destra pubblica già piani di colonizzazione nel sud del Libano e sottolinea la necessità di espellere i palestinesi da Gaza.

Il terribile impatto dell’attacco di Hamas del 7 ottobre ha significato per molti israeliani la chiusura di ogni possibile opzione di negoziati di pace. La brutale e letale reazione israeliana, dal canto suo, fa sì che anche palestinesi moderati vedano oggi con occhi più comprensivi l’attacco di ottobre, anche se non approvano gli omicidi indiscriminati, gli stupri, l’eliminazione di bambini e anziani.

I cinici interessi delle potenze e i tentativi di preservare dubbi interessi locali potrebbero portare a un relativo contenimento dell’incendio. Ma il pericolo che il fuoco diventi incontrollabile dominerà l’intera scena nel prossimo futuro.