Ieri in udienza generale papa Francesco ha confermato il viaggio, storico, in Iraq: arriverà domani, come previsto. Una conferma imposta dalla situazione nel paese, estremamente tesa in queste ultime settimane. Non tanto per la pandemia e per la povertà crescente che ha provocato nell’ultimo anno e mezzo una mobilitazione popolare senza precedenti, ma per il braccio di ferro a suon di missili e bombe tra milizie sciite filo-iraniane e Usa.

Dopo i razzi su una base americana a Erbil e sull’ambasciata di Washington a Baghdad a metà febbraio, dopo i raid aerei di Biden al confine tra Siria e Iraq della scorsa settimana, ieri un altro attacco missilistico ha preso di mira la base aerea di Ain al-Asad, nell’ovest del paese, dove sono presenti sia truppe irachene che statunitensi. Ci sarebbe una vittima, una guardia civile.

I 13 razzi Katyusha sarebbero stati lanciati da una distanza di otto km. Anche stavolta nessuna rivendicazione. Fonti interne alle milizie sciite irachene legate a Teheran hanno però detto al portale Mee che gli ultimi attacchi non erano diretti agli Usa (di cui chiedono da tempo il ritiro definitivo dal paese): sarebbero piuttosto un avvertimento alle autorità curde di Erbil.