«Non è ancora chiaro come le autorità di Teheran gestiranno il nuovo flusso di rifugiati afghani. In ogni caso sono quarant’anni che gli iraniani hanno esperienza nell’accoglienza», commenta al telefono Alieh Atai, nota scrittrice afghana residente a Teheran.

Classe 1981, lavora in centro, nel caffè libreria Maktab-e Teheran. «Qui in Iran noi afghani siamo tantissimi, più di tre milioni. Uomini e donne che svolgono mansioni umili, mentre tanti altri si sono integrati nella società civile e non subiscono discriminazione. Per noi afghani è però impossibile ottenere la cittadinanza iraniana, anche se siamo nati e cresciuti in Iran e non siamo mai stati in Afghanistan».

A proposito di scrittori afghani in Iran, il traduttore Giacomo Longhi cita il romanziere Mohammad Hossein Mohammadi, autore dei 14 racconti in lingua darì nella raccolta I fichi rossi di Mazar-e Sharif (Ponte33 2011): «Qualche anno fa era tornato a Kabul per insegnare giornalismo e aprire una casa editrice per dare alle stampe autrici e autori afghani, ora non si sa che cosa succederà. Un altro scrittore afghano pubblicato a Teheran (e residente in Danimarca) è Mohammad Asaf Soltanzadeh di cui l’editore Aiep aveva pubblicato otto racconti del volume Perduti nella fuga tradotti da Anna Vanzan nel 2002. Paradossalmente, questi autori hanno più successo in Iran che in Afghanistan. Lo stesso vale per Alieh Atai, che ha in catalogo tre volumi pubblicati dal rinomato editore Cheshmeh di Teheran, tra cui un reportage sulla guerra in Afghanistan».

Con il ritiro degli americani, tra coloro che cercheranno scampo proprio in Iran vi sono gli hazara, la minoranza sciita che nell’Afghanistan a maggioranza pashtun rappresentano il 10-20% dei 38 milioni di abitanti.

Sono da sempre perseguitati perché sciiti e quindi considerati eretici dagli integralisti: gli hazara credono in un Dio unico ma – come gli sciiti iraniani, iracheni e libanesi – venerano anche i dodici Imam ritenuti i legittimi successori del profeta Maometto.

In questi decenni, alle questioni teologiche si sono aggiunte quelle geopolitiche: gli hazara sono ritenuti alleati dell’Iran e nella guerra siriana 10-20mila uomini sono stati arruolati nella Divisione Fatemiyoun dei pasdaran a sostegno del presidente Bashar al-Assad.

In questi vent’anni gli hazara sono stati tra coloro che hanno tratto maggiore beneficio dall’occupazione statunitense dell’Afghanistan: hanno iscritto figli e figlie a scuola, sono riusciti ad avere un ruolo in politica e hanno migliorato le proprie condizioni lavorative.

Quando i Talebani erano al potere, negli anni Novanta, la loro quotidianità era invece scandita da moschee, scuole e ospedali presi di mira, persone che andavano al lavoro e lungo il percorso venivano assassinate per la loro appartenenza etnica e religiosa.

Ora i Talebani promettono di essere meno cruenti, ma in questi giorni hanno già decapitato la statua di un leader hazara nella località di Bamiyan, dove avevano distrutto i Buddha nel 2001.

Saranno quindi molti gli hazara a tentare la fuga. Secondo l’Unhcr, i rifugiati afghani presenti in Iran sono ufficialmente 780mila, a cui occorre aggiungere due milioni di individui entrati illegalmente senza documenti e ulteriori 600mila in possesso di passaporto. Un totale di 3.380.000 su una popolazione iraniana di 82 milioni.

Una cifra decisamente maggiore rispetto ai 1.400.000 rifugiati afgani registrati in Pakistan, dove sono da sempre confinati nei campi profughi e l’accesso al sistema sanitario e scolastico è stato possibile solo nel 2018.

Insieme, l’Iran e il Pakistan accolgono già il 90% dei rifugiati afghani. Chiedergli un ulteriore impegno non è possibile, anche perché l’Iran è sotto sanzioni internazionali e sarebbe impossibile convogliare denaro a Teheran a fronte dell’accoglienza.

Per quanto riguarda il Pakistan, per la comunità internazionale non avrebbe senso pagare il regime pachistano per tenersi i profughi: è Islamabad ad avere offerto ai Talebani le retrovie e ad aver contributo alla loro creazione, insieme a Stati uniti e Arabia saudita, in chiave antisovietica. Un gioco pericoloso, tant’è che gli integralisti sfuggirono ben presto di mano.

Ora, mentre in migliaia cercano di scappare dall’aeroporto di Kabul, centinaia di altri afghani rifugiati in Pakistan stanno tornando in patria attraverso i campi aridi di Chaman verso la località afgana di Spin Boldak, sul confine. Se ne erano andati vent’anni fa, al tempo dell’invasione statunitense, spaventati dai bombardamenti. Ora, invece, sono fiduciosi in un ritorno alla stabilità grazie ai Talebani.