Sarà Keiko Fujimori, la fedele figlia dell’ex presidente golpista in carcere per crimini di lesa umanità, a sfidare al ballottaggio il prossimo 6 giugno il candidato di estrema sinistra Pedro Castillo, giunto primo alle elezioni dell’11 aprile con poco più del 19% dei voti.

LA LEADER di Fuerza Popular, il partito della destra fascista e corrotta, ha avuto la meglio, con circa il 13,4% delle preferenze, su un altro esponente ultraconservatore, il miliardario dell’Opus Dei Rafael López Aliaga, all’11,7%.

Un risultato, quello del primo turno, che indica da una parte l’estrema frammentazione dello scenario politico peruviano – i tre candidati più votati non arrivano insieme al 50% dei voti – e dall’altra la tendenza di una buona parte dell’elettorato a cercare risposte radicali, chi a destra e chi a sinistra, alla grave crisi politica, economica e sanitaria de paese.

A votare per Castillo sono stati i ninguneados – tutti i nessuno del mondo rurale andino da sempre ignorati e disprezzati dalle istituzioni – che in lui hanno visto uno di loro, uno che parla la loro stessa lingua, che condivide persino i loro pregiudizi (per esempio sulle coppie omosessuali e l’uguaglianza di genere).

Sono in molti a interrogarsi sul miracolo compiuto dal maestro e sindacalista, finora risparmiato dalla campagna sporca condotta dall’oligarchia che o si è accorta troppo tardi della sua ascesa elettorale o, come ritiene lo storico Nelson Manrique, lo ha lasciato crescere nelle preferenze per sbarazzarsi dell’altra esponente di sinistra, Verónika Mendoza (solo sesta con il 7,8% dei voti), ritenuta maggiormente pericolosa in un eventuale ballottaggio in quanto più accettabile agli occhi delle classi medie.

Così, attaccata impietosamente dalla destra, la candidata di Juntos por el Perú ha finito per annacquare via via la sua proposta, cedendo consensi a vantaggio di Castillo.

MA LA VERA SFIDA, per il leader di Perú libre, comincia adesso, dinanzi ai prevedibili attacchi che le forze di destra sferreranno contro di lui, a partire dall’accusa più insidiosa in un paese in cui la ferita del terrorismo non si è ancora rimarginata: quella, da lui sempre respinta, di essere legato al Movadef (Movimiento por Amnistía y Derechos Fundamentales), il braccio politico di Sendero Luminoso.

SULLA CARTA, la «señora K», come è popolarmente chiamata la figlia di Fujimori, dovrebbe partire avvantaggiata, potendo contare sul prevedibile (ma non scontato) appoggio degli altri candidati di destra, a cui diverse delle proposte di Castillo appariranno di sicuro indigeste, a partire dalla nazionalizzazione del settore energetico e dall’estensione alle risorse del sottosuolo dell’obbligo del consenso libero, previo e informato dei popoli indigeni, la cui decisione assumerebbe carattere vincolante.

E benché sulla leader di Fuerza Popular, già due volte arrestata per finanziamento irregolare alla sua campagna elettorale del 2011, pesa anche una possibile condanna a 30 anni di carcere, nel paese degli onnipresenti scandali di corruzione potrebbe non trattarsi di un ostacolo insormontabile.

Di certo, che vinca lei o il suo avversario, nessuno dei due potrà contare sulla maggioranza parlamentare, benché, di fronte alla prevalenza delle forze di destra, per il leader di Perú libre il compito si annunci ancor più arduo. Castillo, tuttavia, non si lascia intimidire dichiarando che, nel caso in cui il Congresso si opporrà alla convocazione di un’Assemblea costituente, userà le sue prerogative presidenziali per scioglierlo.