Georg Simmel, all’inizio del XX secolo, spiegava come la condizione metropolitana rappresentasse un aspetto paradigmatico della contemporaneità. Un flusso continuo, intercambiabile, di interazioni mediate dal denaro, assicura il protrarsi dell’estraneità reciproca. Il fluire anonimo e impersonale delle interazioni metropolitane, sortisce l’effetto di livellare le aspettative e i valori individuali, creando una camera di compensazione dove valori, regole e ideologie sfumano, inclusa la distinzione tra legalità e illegalità. La rottura di questo equilibrio sfocia nella conflittualità.
Milano sotto Milano. Viaggio nell’economia sommersa di una metropoli di Antonio Talia (Minimum Fax, pp. 260, euro 18), restituisce una descrizione e un’analisi simmeliane della Milano contemporanea. Seguendo la tecnica del camera eye di Dos Passos, l’autore propone un lavoro giornalistico, che spesso sconfina nella letteratura e nel saggio sociologico, aprendo al lettore la possibilità di sviluppare un’ampia gamma di riflessioni adottando una pluralità di punti di vista.

TALIA PRENDE LE MOSSE dall’omicidio di Nicoletta Figini, avvenuto nell’estate del 2013. La mancata risoluzione del caso non impedisce di far affiorare in superficie la doppia vita di una vedova delle classi medio alte, proprietaria di un appartamento e di un esercizio commerciale, dedita al sesso estremo e al consumo di stupefacenti, disegnando una traiettoria che da porta Venezia finisce alla periferica Quarto Oggiaro. Nel quartiere tra i più malfamati di Milano vivono i Tatone e i Crisafulli, che controllano lo spaccio di stupefacenti, ma tengono una finestra aperta sul centro della metropoli, per investire i loro proventi nel campo immobiliare e nei prestiti ad usura da elargire agli esponenti rampanti del nuovo ceto imprenditoriale meneghino.

Man mano che la narrazione incalza, si aprono scenari sempre più magmatici e spiazzanti, dove ex consiglieri comunali della vecchia maggioranza, soubrette diventate imprenditrici, faccendieri alla ricerca dell’occasione d’oro, mediatori d’affari di dubbia reputazione, si disputano l’accesso ai vertici dell’economia e della finanza. Sullo sfondo si staglia l’ombra della ‘ndrangheta, vero e proprio convitato di pietra della Milano del primo ventennio del 2000. Sia sotto forma di imprenditori, sia quando mediano su richiesta di imprenditori locali, gli ‘ndranghetisti si presentano come un elemento centrale delle transazioni economiche locali.

Si tratta di elementi nati e cresciuti a Milano, pienamente consapevoli delle potenzialità economiche della zona, che fanno ancora riferimento a San Luca, ma i cui orizzonti sono proiettati in quell’economia e quella finanza internazionale di cui Milano, in Italia, rappresenta l’avamposto. Non è casuale che l’Expo e le grandi ristrutturazione urbane abbiano attratto capitali internazionali, tra cui i fondi sovrani malesi mossi da un faccendiere amico del primo ministro del paese del sud-est asiatico.

IL LIBRO FORNISCE UN QUADRO degno di un saggio di criminologia critica: non esistono mondi illegali e mondi legali radicalmente contrapposti. Esiste una pluralità di attori che si muovono nella capitale economica d’Italia, mossi da scopi funzionali che li portano ad interagire, a scontrarsi, a ricomporre le controversie, adottando una struttura analoga, dove organizzazioni apparentemente incompatibili si avvalgono di una selva di mediatori in grado di svolgere il ruolo di cerniera.

La Milano di Tangentopoli, di fronte a questo scenario, sembrerebbe essere andata in soffitta. Non è questo il caso, e lo dimostrano le vicende del Centro Studi Tommaso Moro, attraverso il quale reduci del vecchio scandalo di corruzione politica fungevano da mediatori per gli appalti dell’Expo, e la loro opera era richiesta anche dagli attori più chiacchierati. La sinergia imprenditoriale prevale sulle appartenenze politiche, sulla regolarità delle procedure, sulle leggi. Rispetto a Tangentopoli, è cambiato tutto, ma non è cambiato niente. O forse non si poteva, e non si voleva, cambiare.