L’Abruzzo è il posto dove quasi tutti gli orsi hanno un nome. C’è Amarena, che da qualche anno «frequenta» San Sebastiano dei Marsi, frazione di Bisegna (L’Aquila) di cui predilige piante di ciliegie e di amarene. Il 20 agosto dell’anno scorso una sua irruzione, di corsa, tra i turisti, durante le feste patronali, ha creato scompiglio. C’è Mario, circa 4-5 anni, che tra il 29 e 30 luglio 2017 cercava galline e, invece, si è intrufolato in un’abitazione di Villavallelonga (Aq). In un primo momento è rimasto nella dispensa, razziando frutta e dolci. Poi si è spostato nelle altre stanze, facendo tappa pure in bagno. Il padrone di casa, Medoro Bianchi, sentiti i rumori e pensando ai ladri, si è allarmato. Ma, all’improvviso, si è trovato faccia a faccia con il plantigrado che ha battuto in ritirata. Mentre lui e la sua famiglia, terrorizzati, si sono calati dal balcone. C’è Gemma, quasi un mito, con i suoi raid nei pollai e nelle porcilaie tra l’area del Sagittario e la Valle del Giovenco. E poi Giacomina, Daniele, Romedio… Succede che incursioni e scorrerie, per lo più a caccia di cibo, generino anche panico e rabbia; il contatto con l’uomo non è facile, ma l’orso bruno marsicano è specie unica al mondo, «elusiva e delicata» come viene definita in talune ricerche, ed è sotto protezione. «Di esso – spiega Stefano Orlandini, della onlus Salviamo l’orso – si contano circa 50 esemplari. Da venti anni è pericolosamente sull’orlo dell’estinzione». La buona nuova è che nel 2016, da parte del Parco nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise (Pnalm), sono stati censiti 10 nuovi cuccioli e nel 2017, undici. «Segno di una vitalità riproduttiva», commenta Antonio Carrara, presidente Pnalm.

Di Ursus arctos marsicanus parlò, per la prima volta, nel 1920, il naturalista molisano Giuseppe Altobello. Studi hanno fatto emergere che a confinare gli orsi bruni sulle alture furono i primi coltivatori del Neolitico, che già millenni fa si procuravano agri da dissodare bruciando i boschi. La deforestazione ridusse a poche migliaia gli esemplari presenti in Europa: quelli degli Appennini si trovarono isolati e 3-4mila anni fa diedero vita a una nuova sottospecie, appunto l’orso marsicano. «Il consumo del suolo, la dilapidazione del territorio – riprende Orlandini – hanno confinato l’habitat di questo animale in luoghi caratterizzati da minore disturbo e dalla disponibilità di risorse alimentari». La maggior parte degli orsi si concentra dentro il Pnalm e nella sua zona di protezione esterna. Individui poi si spostano nel Parco della Majella, nel Parco regionale Sirente-Velino, nella Riserva regionale del Genzana. Avvistamenti ci sono stati nel Matese, sui Monti Ernici, sui Sibillini e Simbruini.
Una specie in bilico, ma scarseggiano azioni incisive di salvaguardia da parte del ministero dell’Ambiente e della Regione Abruzzo che, dopo aver firmato il Patom (Piano d’azione per la tutela dell’orso marsicano) hanno mostrato poca concretezza nell’attuare provvedimenti. «Iniziative semplici – sottolinea Orlandini – che sarebbero efficaci, non vengono adottate: sorveglianza maggiore, vaccinazione del bestiame domestico nelle zone di riserva, chiusura delle strade, cartelli, dissuasori, segnalazioni acustiche per limitare investimenti…». «Il Patom contiene indicazioni e strumenti importanti per la conservazione dell’orso – evidenzia Giuseppe Di Marco, presidente di Legambiente Abruzzo – ma se le istituzioni non recitano la loro parte, tutto diventa inefficace. Da tempo denunciamo l’assenza ed i vuoti creati dalla Regione Abruzzo in questa strategia. Essa ha sostanzialmente delegato ai parchi e alle riserve la gestione del problema, senza fornire gli strumenti necessari per operare. A partire dal non controllo della caccia, alla mancata definizione delle aree contigue ai parchi, ai ritardi nell’approvazione dei piani dei parchi e di gestione dei siti della rete Natura 2000. Ha invece provveduto al taglio di risorse e di personale, ha avanzato proposte di riduzione dei perimetri dei parchi e di creazione di leggi sbagliate».

«Esistono situazioni di stallo ed immobilismo – aggiunge Luciano Di Tizio, Wwf Abruzzo – mentre il mondo scientifico è concorde nell’evidenziare che servono scelte immediate e non contraddittorie per assicurare la salvezza di questo splendido animale, così come è necessario abbandonare ogni intervento che possa compromettere i luoghi nei quali si trovano cibo e rifugio».

«E’ difficile operare – riprende Carrara, presidente Pnalm – quando le competenze sono frammentate tra enti ed istituzioni diversi». Per Filomena Ricci, del Wwf, «la questione dovrebbe essere affrontata con dimensione sociale, coinvolgendo le comunità locali, in modo da placare anche il malcontento e i timori di agricoltori e allevatori saccheggiati». L’orso marsicano non è orso come gli altri. Ha un’indole «buona». Nell’ultimo secolo non ha mai attaccato l’uomo e «un’ipotesi – afferma il biologo della Sapienza, Luigi Boitani – è che i tratti della mansuetudine si siano evoluti grazie a millenni di vicinanza con la popolazione». I suoi geni lo confermano. «Studiando cani, cavalli, volpi – fa presente Andrea Benazzo, genetista dell’università di Ferrara, uno degli autori di una ricerca pubblicata sulla rivista Pnas – abbiamo visto che esistono geni legati ad addomesticamento e mansuetudine. E negli orsi marsicani compaiono ben 22 di questi frammenti di Dna».