L’esito del referendum potrebbe giocarsi a Castelnuovo di Porto, paesone di 8.461 abitanti che si trova a poco più di 30 chilometri da Roma. E’ qui, all’interno del grande centro polifunzionale in cui trova posto anche un Cara, una struttura di accoglienza per richiedenti asilo, che è stata allestita dal Viminale una cittadella elettorale per raccogliere e scrutinare le schede con il voto espresso dagli italiani all’estero. Cittadella per modo di dire: per l’occasione, infatti, sono stati previsti 1.600 seggi per le operazioni di spoglio, intorno ai quali lavoreranno diecimila persone tra scrutatori e presidenti di seggio, mentre sulla regolarità delle operazioni vigileranno decine di agenti delle forze dell’ordine, ma anche centinaia di volontari di entrambi i Comitati referendari.

Che il futuro della riforma possa giocarsi qui è qualcosa in più di una semplice possibilità: sono poco più di quattro milioni gli italiani iscritti all’Aire, l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, un piccolo esercito in grado senza dubbio di ribaltare in un senso o nell’altro il risultato. Tutti hanno già ricevuto la scheda e hanno tempo fino a domani per esprimere la propria preferenza. Poi le schede, chiuse in valige diplomatiche, arriveranno all’aeroporto romano di Fiumicino dove sono attese per il 2, 3 e 4 dicembre e dove saranno stoccate nei magazzini aeroportuali. Fino a quando, domenica, è previsto che vengano trasferite a Castelnuovo di Porto dove saranno custodite in attesa dell’inizio dello spoglio alle 23.

Inutile dire che migliaia di occhi seguiranno ogni singola operazione e ogni singola scheda. Il sospetto di possibili brogli ha infatti acceso più di una volta la campagna referendaria, al punto che entrambi i comitati hanno già pronte squadre di volontari per scongiurare eventuali irregolarità. E i contrari alla riforma hanno già annunciato di fare ricorso nel caso la vittoria del Sì dovesse dipendere dal voto espresso all’estero, come ha ricordato pochi giorni fa il costituzionalista Alessandro Pace.

Non è la prima volta che le scelte espresse dai nostri connazionali che risiedono in altri paesi risultano determinanti in una consultazione elettorale. Nel 2006, ad esempio, sono state decisive per consegnare a Romano Prodi la maggioranza – seppure esilissima – al Senato. Diversa, invece, la partecipazione al voto. Nel referendum sulle trivelle a votare furono infatti appena in 700 mila, mentre alle politiche del 2013 espressero una preferenza 1,2 milioni di elettori. Argentina e Brasile sarebbero – secondo gli esperti – autentici serbatoi di voti per Sì, mentre contrari alla riforma sarebbero soprattutto i cosiddetti cervelli in fuga.