Amir Reza Koohestani è un artista iraniano che catturò grande attenzione quando apparve per la prima volta in Italia, a Modena, qualche anno fa con una curiosa coreografia che risuonava sui bicchieri pieni d’acqua. Trasferitosi a lavorare in Europa, l’artista ha presentato ora al Fabbricone di Prato una coproduzione europea (larga e prestigiosa) di grande interesse, sia per l’origine nobile da cui nasce, Transit di Anna Seghers, sia perché fin dal titolo, divenuto In Transit, ci porta dentro una situazione repressiva di trasparente drammaticità: i controlli, polizieschi fino alla persecuzione, in cui chiunque può imbattersi in qualsiasi posto di frontiera o dogana debba attraversare. Il riferimento alla repressione in atto nel suo paese è più che esplicito: quelle creature ai tornelli di controllo vengono strizzate all’inverosimile da domande speciose e obblighi reiterati.

L’AEROPORTO, o qualsiasi dogana sia, diviene luogo di coercizione esistenziale capace di prostrare ogni possibilità di resistenza, diffondendo un senso di colpa «possibile» anche al più innocente pensiero. Quegli interrogatori ossessivi (che nascono da un personaggio, forse lo stesso autore, che legge il testo della Seghers) sono stadi di una dittatura che pare impossibile, per quanto necessario, scalfire.