Sconfitti la scorsa primavera gli autotrasportatori che protestavano contro i platon (i dazi sulle autostrade) e imposta quest’estate la «riforma» delle pensioni, il regime putiniano sta concentrando il fuoco sui giovani, in primo luogo su quelli ribelli.

Il 18 dicembre la Duma ha approvato in via definitiva una legge che rende responsabili i genitori per la partecipazione di figli minorenni a manifestazioni politiche non autorizzate. In caso di fermo del giovane, la «patria potestà» potrà essere multata con 15mila euro di ammenda o 30 giorni di arresto.

ANCHE GLI ORGANIZZATORI di manifestazioni vietate potranno essere multati fino a 30mila o subire l’arresto amministrativo di due mesi. Una misura repressiva che segue la significativa partecipazione di adolescenti negli scorsi anni non solo alle iniziative di Navalny ma anche a quelle in difesa dei diritti civili e della sinistra. La stessa legge sul diritto a manifestare in Russia è assai restrittiva: la richiesta deve essere consegnata alle autorità 15 giorni prima e la questura le può comunque vietare senza dover fornire spiegazione.

MA IL MONDO GIOVANILE non è solo preso di mira dal punto di vista strettamente politico. La scorsa primavera il governo ha oscurato il social Telegram perché si era rifiutato di consegnare al Fsb le informazioni sensibili degli utenti: allora 20mila giovani si mobilitarono a Mosca per dire no all’«internet alla cinese». Autoritarismo e paternalismo del resto sono ormai le stimmate del governo: gli spettacoli teatrali in cui gli attori fumano in scena sono vietati ai minori di 10 anni e quelli che trattano di omosessualità, vietati ai minori di 18 anni.

Dal primo gennaio 2019 poi non sarà più permessa la vendita di super alcoolici ai minori di 21 anni.

NELLE ULTIME SETTIMANE è cresciuta la tensione in molte città dopo che le autorità locali hanno vietato alcuni concerti di gruppi reggae, metal e punk. Le autorità temono la «carica estremista» di gruppi che fanno di «protesta, droga e sesso il loro orizzonte». Su pressione della polizia i proprietari di club di Ekaterinburg, Krasnodar e Kazan sono stati costretti a cancellare le esibizioni dei rapper Eldzhey, Coin, Jah Khalib, Matrang e IC3PEAK. Il leader del gruppo Agora, Pavel Chikov, ha denunciato una «lista nera» di musicisti, compilata dal Fsb, a cui deve essere impedito esibirsi.

QUESTI MUSICISTI vengono accusati inoltre di attirare ai loro concerti un pubblico che fa uso di droghe. Malgrado il consumo di cannabis sia reato penale in Russia, l’erba oggi ha ampia circolazione tra i giovani che la importano da zone dell’ex Urss come il Kirghizistan, dove storicamente il consumo di hashish è sempre stato tollerato. I metodi per mettere la museruola ai «rockettari» sono vari. «Al concerto del gruppo Aljay a Surgut il 30 novembre – afferma il redattore di Novaya Gazeta Jan Shenkin – si sono presentati ai cancelli i militanti di “Giovane Guardia” (organizzazione giovanile del partito di Putin n.d.r.) che hanno controllato i documenti dei partecipanti per verificare che nessuno avesse meno di 18 anni».

PRIMA DEL SUO CONCERTO, di recente, è stato arrestato il rapper Husky. A difesa del diritto all’espressione è sceso in campo anche uno dei gruppi rock più celebri in Russia, i Louna, i quali pur essendo a contratto di una delle major discografiche russe si sono sempre distinti per la loro opposizione alle oligarchie e alla chiesa ortodossa. L’ampio, seppur sotterraneo, movimento di protesta giovanile che sta emergendo ha costretto Putin a intervenire in prima persona. Il 15 dicembre a San Pietroburgo ha invitato i «suoi» a «stare molto attenti a vietare concerti». Lo zar del Cremlino evidentemente teme che la rabbia che cova sotto la cenere possa trasformarsi in rivolta. «Non dobbiamo – ha sostenuto il presidente – che i divieti abbiano effetti diversi da quelli da noi attesi». E tra protesta, sesso e droga, ha individuato in quest’ultima il pericolo maggiore: «perché conduce al completo degrado della società».