Quella di Michael B. è una storia kafkiana. Il cittadino nigeriano sbarca ad Augusta nel 2014, ha 22 anni. Tre eritrei lo accusano: è lo scafista. Sottoposto a fermo, riceve un avvocato d’ufficio che non si presenta all’udienza di convalida. Così il Gip individua un legale «immediatamente reperibile». Senza conoscere le conseguenze il migrante elegge domicilio presso il difensore. Quello d’ufficio viene depennato senza motivo, l’altro non solleva eccezioni e porta avanti il processo. Quando nel 2019 arriva la condanna – 4 anni e 8 mesi più un milione di euro di multa – non fa appello. L’imputato non viene mai informato di quanto accade nel tribunale di Catania. Vive regolarmente in un centro d’accoglienza a Perugia, ottiene il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Nel 2021 viene arrestato mentre cerca di rinnovarlo. «Ero in contatto con lui per quella pratica. Acquisite le carte mi sono trovata davanti una vicenda penale gravissima in cui non sono stati garantiti i diritti alla difesa e al giusto processo», afferma l’avvocata Alessia Arcangeli. La legale presenta istanza di rescissione alla corte d’appello di Catania, che la respinge. La Cassazione, però, le dà ragione. Michael B. intanto ha trascorso un anno e mezzo in carcere. Ora il processo è da rifare.