Non è stato il mondo di Alfredo Cospito a scendere in strada ieri a Roma. Del resto sarebbe stato difficile: lui, individualista convinto, ha sempre avuto una certa allergia per i cortei, le assemblee e chi fa cose del genere. Non è un mistero: le famose lettere dal carcere – rintracciabili nei blog di area anarchica e in alcune pubblicazioni dalla ridottissima circolazione ma certo non clandestine – erano tutte un’esortazione a non unirsi in collettivo e a non discutere delle azioni fatte. Casomai l’invito era a prendere spunto. Perché funziona così: non si danno lezioni, né si spiega cosa bisogna fare. E allora in mancanza di buoni consigli resta solo il cattivo esempio.

TRA I MILLE che hanno sfilato da piazza Vittorio a largo Preneste, comunque, di anarchici ce n’erano abbastanza. Non solo loro, certo: c’erano anche gli studenti che hanno occupato Lettera alla Sapienza, qualche militante dei centri sociali (a titolo personale), gente venuta a vedere, solidali di estrazione politica non identificabile. Le tensioni sono arrivate tutte con il calare delle tenebre: dopo un percorso abbastanza tranquillo, arrivati sulla Prenestina un gruppo di manifestanti ha fatto esplodere petardi, tentato di buttare bidoni dell’immondizia sulla strada, lanciato oggetti contro la polizia, dato fuoco a una centralina dell’elettricità, sfondato una fermata del pullman. Poi gli agenti hanno caricato. Risultato (parziale): tre fermati e due feriti tra i manifestanti. Durata dei tafferugli: meno di dieci minuti.

Il corteo, comunque, non ha rispettato il percorso annunciato nei giorni scorsi: doveva arrivare in piazza San Giovanni e invece si è diretto da subito verso Porta Maggiore e da lì fino al Pigneto, dove si è sciolto all’ora di cena. Lo Stato ha per così dire trattato in questo caso e ha accompagnato i manifestanti in un minuetto di avvicinamenti e allontanamenti: davanti alla concessionaria della Jeep all’incrocio tra via Manzoni e via di Porta Maggiore il dispiegamento di forze era ingente. Qualcuno ci ha pure provato a dare qualche mazzata alle vetrine, ma tutto si è risolto con qualche sguardo in cagnesco e poco più. Altra istantanea: al passaggio in piazzale Labicano lo schieramento di agenti in tenuta antisommossa è imponente, due file che sbarrano l’intero lato est. L’obiettivo sensibile da proteggere è il gabbiotto della polizia locale, peraltro recentemente decorato da graffiti approvati dal Comune.
Gli slogan dei manifestanti, per il resto, erano quelli attesi: «Fuori Alfredo dal 41 bis», «Fuori tutti dalle galere, dentro nessuno, solo macerie», «La nostra azione è più forte di ogni autorità».

IL DISCORSO di apertura l’ha fatto Lello Valitutti, «l’anarchico in carrozzina», unico testimone civile presente nella questura di Milano la notte che Pinelli cadde giù dalla finestra, recentemente tornato all’onore delle cronache per una sua intervista in cui annunciava che «se Alfredo morisse, gli verrà sparato addosso (a quelli che lui riterrebbe i responsabili, ndr)». Una minacciosa provocazione che ovviamente ha scatenato le ire di molti, ma in fondo sono decenni che Valitutti rilascia dichiarazioni incendiarie e molto al di là dei confini della ragionevolezza, attirandosi addosso critiche e denunce. E così, dopo aver addirittura parlato dei «partigiani che hanno fatto la Repubblica» contrapposta «agli assassini» di cui invece Giorgia Meloni e il suo governo sarebbero eredi, la chiusura dal megafono ha visto la riproposizione di uno slogan antico un bel po’: «Pagherete caro, pagherete tutto». Valitutti, poi, si è fatto tutto il percorso davanti allo striscione di apertura.

IN MEZZO AL CORTEO, la riproposizione del discorso che nell’area anarchica (e non solo) si fa sul caso Cospito: dotte disquisizioni in punta di diritto sui processi subiti dall’anarchico, citazioni della Corte sulla costituzionalità del 41 bis, passaggi sulla Cedu che lo definisce «tortura», racconti sulla durezza della vita in generale dietro le sbarre. Il tutto intervallato dagli slogan e dalla techno sparata dalle casse («Ci arresteranno per rave», dice un manifestante scherzando, ma solo fino a un certo punto). Immancabili, poi, le facce cattive per i giornalisti – «Infami», come da cartellone pure esposto sul camioncino che guidava la folla – e gli inviti non gentilissimi a evitare di fare foto e riprese: è questo il motivo per cui la nutrita pattuglia di cronisti, almeno un centinaio, ha preceduto il corteo alla sua testa, evitando di avvicinarsi troppo.

È finita con qualche tensione e la promessa che non è finita qui. La stessa fatta anche nelle altre città dove pure ieri si è manifestato contro il carcere duro e per Alfredo Cospito: da Milano alla Toscana, passando per L’Aquila, «città simbolo del 41 bis» secondo il volantino distribuito al presidio.
A sera, percorrendo a ritroso il percorso del corteo, sembra non essere successo niente: il traffico scorreva nella sua tipica non eccessiva confusione del sabato, sull’asfalto addirittura i segni di idropulitrici passate da poco, gente a passeggio, bar e pizzerie che cominciano ad affollarsi. E sotto alle insegne della Jeep di via Manzoni i senzatetto che si preparano ad affrontare la notte.