Da ieri il Mali è in lutto nazionale per 72 ore. Il presidente ad interim, colonnello Assimi Goïta, ha manifestato «le sue più sentite condoglianze alle vittime e ha assicurato che le forze di difesa proseguiranno con la distruzione dei diversi gruppi jihadisti presenti nel paese».

«Oltre 130 civili sono stati uccisi negli ultimi tre giorni in diverse località del centro e del sud del Mali con i villaggi di Diallassagou, Diamweli, Dessagou colpiti sabato, quello di Ségué domenica e l’area di Bankass e Bandiagara lunedì, in attacchi attribuiti ai miliziani jihadisti» ha indicato all’agenzia Afp Nouhoum Togo, presidente del partito Union pour la Sauvegarde de la République du Mali (Usr).

L’attacco non è stato rivendicato, ma secondo diverse fonti locali, sarebbe stato realizzato dalla Katiba Macina, appartenente al Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Gsim) ramo saheliano di Al-Qaeda. «I miliziani di Ahmadou Koufa (leader della Katiba, ndr) hanno agito per ritorsione – ha indicato Togo- perché accusano gli abitanti di aver infranto il patto di non belligeranza e di aver aiutato l’esercito maliano e gli ausiliari russi a svolgere operazioni nell’area».

Numerose fonti locali riportano che l’attacco sarebbe anche frutto «delle tensioni etniche di questi ultimi mesi», con la comunità Peul– spesso accomunata ai miliziani jihadisti – presa di mira con saccheggi, distruzioni e con l’occupazione di numerosi pozzi d’acqua, diventati essenziali in questo periodo di siccità nel Sahel.

Divisioni interne che si accentuano anche perché diversi partiti politici e molti leader di comunità (Tuareg) o gruppi armati del nord accusano il governo di utilizzare «due pesi e due misure», visto che Bamako non ha mai pensato al lutto nazionale per i civili uccisi – si stima almeno 400 vittime – negli attacchi dell’ultimo mese compiuti dallo Stato Islamico a Ménaka.

Dure critiche della società civile nei confronti del governo di Bamako e della sua lotta al jihadismo. «Nonostante i proclami vittoriosi relativi all’operazione Keletigui e al fatto di aver messo in sicurezza il centro e il sud del paese – afferma un comunicato congiunto di numerose associazioni – è davanti agli occhi di tutti l’inefficacia del governo a contrastare gli attacchi, la mancanza di sicurezza della popolazione maliana e l’utilizzo di violenze indiscriminate contro i civili».

Un chiaro riferimento alle dichiarazioni della scorsa settimana da parte del ministro degli Esteri maliano, Abdoulaye Diop, che, nella sessione speciale del Consiglio di Sicurezza Onu per il rinnovo della Minusma, aveva difeso «i risultati convincenti dell’esercito, tra jihadisti neutralizzati e e città liberate».

Durante la sessione il rappresentante Onu in Mali e capo della missione, el-Ghassim Wane, aveva richiesto il rinnovo della Minusma (il voto è previsto per fine mese) proprio perché «abbandonare il Mali, significherebbe lasciare campo libero ai jihadisti presenti non solo nel paese, ma anche in Burkina Faso (89 vittime la scorsa settimana a Seytenga, ndr) e in Niger dove gli estremisti continuano a compiere frequenti attacchi».

«Questo è l’ultimo massacro di una lunga serie, con i civili vere vittime di questo conflitto – ha indicato al riguardo Wassim Nasr, esperto di jihadismo nel Sahel– dove è evidente che da una parte i due gruppi jihadisti (Gsim e Stato Islamico) stanno lottando per la supremazia in tutta l’area e dall’altra le forze armate reprimono la popolazione inerme o non controllano più alcune zone del paese».