Il 5 settembre 2018 è una data che rimarrà nella storia dei movimenti sociali in India. Più di 100.000, tra contadini e lavoratori, hanno invaso Parliament Street a New Delhi. Sia per l’alta partecipazione sia per l’alleanza di questi due settori della società, finora separate, questa manifestazione è unica nel suo genere. Le sue origini risalgono all’inizio del mese di marzo 2018, quando il mondo Twitter indiano si mobilita intorno all’hashtag #KisanLongMarch.

PER VARI GIORNI, mentre decine di migliaia di contadini si incamminano verso Bombay per esigere dallo Stato del Maharashtra che le promesse pregresse vengano attuate, tutti i riflettori sono puntati su questa lunga scia di cappelli rossi alla Gandhi e piedi insanguinati. A tal punto che il governo, dopo sei giorni di manifestazione continua, deve cedere e fare il mea culpa nei confronti del mondo rurale: per la prima volta lo Stato ha risposto a tutte le richieste avanzate dai contadini impegnandosi a concretizzarle nell’arco di sei mesi.

«Qualora non dovessero onorare il patto noi ci organizzeremo e replicheremo ancora più in grande», ha raccontato Vijoo Krishnan, leader della All India Kisan Sabha (Aiks), l’organizzazione contadina della fazione marxista del partito comunista indiano. Lo abbiamo intervistato per capire la natura e le cause del fenomeno.

«QUESTO MOVIMENTO ha davvero qualcosa di inedito», sostiene Krishnan, «la sua intensità, le sue modalità, la partecipazione, il suo impatto, l’attenzione mediatica, sembrano indicare un tornante nella mobilitazione contadina». Se le politiche neoliberali implementate in India agli inizi degli anni ’90 sono sempre state denunciate con forza da braccianti e piccoli agricoltori che ne subiscono gli effetti nefasti, i reclami e le rivendicazioni provenienti dalle campagne indiane difficilmente avevano superato la soglia dei giornali regionali. Almeno fino all’estate del 2017, quando la causa contadina ha cominciato ad assumere una risonanza nazionale, come sottolinea Krishnan: «Il popolo indiano ha sempre avuto a cuore la figura dell’annadata, letteralmente “colui che fa il cibo”, ma il consenso e il sostegno che vediamo emergere da tutti gli strati della popolazione da un anno a questa parte è una cosa mai vista prima».

IL 6 GIUGNO 2017 sei contadini morivano sotto i colpi della polizia durante una manifestazione in un distretto rurale dello stato del Madhya Pradesh. Questo evento ha segnato l’inizio di una lunga serie di manifestazioni dalle modalità poco ortodosse. A ottobre dello stesso anno, dei Rajasthani particolarmente ispirati scavano delle buche profonde dove si siedono per poi ricoprirsi di fango in segno di protesta contro l’acquisizione forzata delle loro terre. Un mese più tardi, degli agricoltori del Tamil Nadu si piazzano di fronte agli edifici del governo a New Delhi per richiedere di sbloccare dei fondi di urgenza dopo un interminabile periodo di siccità.

PER QUASI 40 GIORNI fanno prova di un’immaginazione incredibile per attirare l’attenzione dello Stato: stringono tra i denti dei topi vivi e dei serpenti morti, si rasano la metà del cranio, si tagliuzzano le mani e organizzano simulacri di funerali. E ancora, per la prima partita in casa della stagione dei Chennai Super Kings, dei manifestanti protestano all’interno dello stadio e bruciano i loro biglietti minacciando di lanciare dei serpenti in campo, tanto da obbligare il club a spostare le partite a 1.200 chilometri di distanza.

Ma che cosa spinge i contadini a questi gesti estremi? In India circa 800 millioni di persone (circa due terzi della popolazione totale) dipendono tutt’ora, direttamente o indirettamente, dall’agricoltura, un settore dai profitti in caduta libera, il cui contributo alla crescita del Pil si riduce a un misero 17%.

SE LA POVERTÀ DIMINUISCE complessivamente in India, secondo la Reserve Bank of India l’80% della povertà estrema rimane concentrata nelle aree rurali. Tra le principali cause della crisi agraria che grava sulla popolazione rurale c’è la pressione demografica e la conseguente divisione delle terre agricole, l’aumento dei costi di produzione legati allo sviluppo tecnologico e l’uso di fertilizzanti sempre più onerosi e sempre meno efficaci, il prezzo del petrolio che è alle stelle e le ripercussioni del riscaldamento globale.

«Coloro che raggiungono il movimento sono principalmente i senza terra, gli adivasi (tribali) dalle foreste e tutti gli agricoltori marginali che dipendono da pochi ettari di terra ereditati o presi in affitto e che si sono fortemente indebitati per tirare avanti. Molti addirittura non hanno accesso al programma di sicurezza alimentare che distribuisce generi di prima necessità, e questo per varie ragioni tra cui la corruzione» dice Krishnan.

Per il National Sample Survey Office, solo 5% delle famiglie rurali indiane possiedono più di 3 ettari di terra coltivabili, per il resto si tratta per lo più di piccola agricoltura di sussistenza e di famiglie senza alcuna terra che si ritrovano a lavorare come braccianti generalmente retribuiti meno di 3 euro al giorno.

GLI APPROVVIGIONAMENTI di riso e grano nelle casse dello Stato, destinati ad ovviare le carenze del mercato, non sono più sufficienti per soddisfare i bisogni di una popolazione in costante espansione e le ripetute perdite subite a causa delle calamità naturali, rendono il conto ancora più salato laddove la semplice irrigazione meccanica rimane un presupposto mancante per la maggioranza.

A più riprese Vijoo Krishnan e altri leader del movimento contadino, hanno fatto pressione per l’instaurazione di un sistema pubblico di assicurazione che tuteli gli agricoltori da questi danni.

Di fatto, i redditti degli agricoltori sono clamorosamente insufficienti per rimborsare i debiti sempre più pesanti, affittare terre arabili sempre più rare, e provvedere al proprio sostentamento. Insomma, i contadini non ce la fanno più. Per alcuni il suicidio è l’unica via di uscita.

Il National Crime Records Bureau contava 8.007 casi di contadini che si sono tolti la vita nel 2015. Qualche anno fa Vijoo Krishnan, per iniziativa del Aiks, ha partecipato a un’indagine sul fenomeno dei suicidi: «Quello che abbiamo trovato è un miserabile risarcimento di 20.000 rupie (circa 250 euro) versate dallo Stato alle famiglie di contadini colpiti da un suicidio». Molti economisti ritengono che la situazione del mondo rurale si sia aggravata con il governo Modi.

TRA LE PROMESSE ELETTORALI fatte, i contadini non hanno scordato il raddoppio dei redditi prima del 2022 e soprattutto il Minimum Support Price (prezzo minimo di vendita dei prodotti agricoli) fissato al 150% dei costi complessivi di produzione. Lo scorso luglio Narendra Modi fece annunciare l’implementazione di questa misura ma si dimenticò di specificare che il calcolo dei costi di base era stato revisionato al ribasso.

Questa operazione non ha sorpreso Krishnan che lamenta una continua oscillazione del governo tra immobilismo e populismo.
Rimane però scettico in prospettiva delle prossime elezioni nel 2019: «Modi ha tradito una gran parte dei suoi elettori (…), ma solo se ci fosse davvero un’elezione trasparente ed equa, senza soldi e muscoli di mezzo, solo allora davvero potremmo essere certi di un cambiamento a venire».

Un cambiamento lo si è visto a Delhi, dove – per la prima volta negli ultimi decenni- le bandiere del Citu (Centre of Indian Trade Unions), uno tra i più grossi sindacati operai nazionali, hanno sventolato insieme a quelle delle organizzazioni e dei sindacati contadini. Krishnan vede nella demonetizzazione avvenuta a novembre del 2016 una causa importante dell’unificazione delle lotte tra contadini e operai: «Se i più avvantaggiati sono riusciti a gestire la crisi ricadendo sulle loro gambe, gli agricoltori, i braccianti, i lavoratori migranti, i giornalieri del settore informale e i più vulnerabili si sono tutti persi».

I PRINCIPALI SETTORI che assorbono la manodopera rurale, così come nell’edilizia, dove il 90% della forza lavoro è informale, è in crisi da allora, dopo anni di crescita folgorante. Così i fili invisibili che legano il mondo rurale a quello urbano potrebbero tessere una macchina da guerra davvero minacciosa per la longevità del Bharatiya Janata Party, il partito al governo. «Una cosa è certa» ha affermato con determinazione Vijoo Krishnan «Questo è solo l’inizio».