Una grande incertezza domina le elezioni per la presidenza e il rinnovo del Congresso che si svolgeranno domani in Bolivia. Il vantaggio attribuito dall’ultimo sondaggio al candidato del Movimiento al Socialismo Luis Arce rispetto al suo principale avversario Carlos Mesa (42,2% contro 33,1%), non è ancora tale da assicurargli la vittoria al primo turno (per la quale è richiesto più del 40% dei voti, con un vantaggio di almeno 10 punti sul secondo).

TUTTAVIA I SONDAGGI non tengono conto né del voto all’estero, pari a oltre il 4% dell’elettorato e tradizionalmente favorevole al Mas, né del voto rurale disperso, che va altrettanto e più a vantaggio del Movimiento al Socialismo. Cosicché una vittoria al primo turno dell’ex ministro dell’economia di Morales sembrerebbe in realtà altamente probabile, e con percentuali non molto diverse rispetto alle elezioni del 20 ottobre del 2019, quando l’allora presidente riportò il 47,08% delle preferenze, contro il 36,51% di Mesa.

Come andò allora è cosa nota: di fronte alle accuse di brogli, Morales aveva sollecitato l’Osa, l’Organizzazione degli stati americani, a realizzare una revisione dello scrutinio delle elezioni, impegnandosi ad accettarne l’esito in ogni caso. E l’Osa ci aveva messo un attimo a riscontrare «irregolarità molto gravi» nel processo elettorale, innescando così quella catena di eventi (e anche di imperdonabili errori da parte del Mas) che avrebbe condotto rapidamente alla rinuncia di Morales e all’autoproclamazione di Jeanine Áñez.

 

Un murale a El Alto semi-coperto dai poster di Morales che saluta dal suo esilio argentino (foto Ap)

SE POI SUCCESSIVE ANALISI del voto, come quelle di due ricercatori del Mit Election Data and Science Lab, John Curiel e Jack R. Williams, hanno di fatto escluso che vi siano stati brogli, il pericolo di frodi – e quindi di un consolidamento del golpe – appare invece assai alto in relazione alla giornata elettorale di domani.

L’obiettivo della forze anti-Morales, si sa, è appena quello di conquistare il ballottaggio: al secondo turno, infatti, Arce non avrebbe alcuna chance di imporsi di fronte allo scontato ricompattamento delle forze reazionarie, impedito al primo turno dalle rivalità tra i candidati di destra.

Per ottenere tale obiettivo, è facile immaginare che non sarà lasciato nulla di intentato, considerando che i golpisti non avranno di certo fatto tanta fatica per arrivare al potere per poi cederlo alla prima occasione.

E se le pressioni per indurre Camacho a farsi da parte non hanno raggiunto lo scopo, non mancano certo gli strumenti per ottenerlo per altre vie, dal tentativo di ostacolare con ogni mezzo il voto all’estero alla manipolazione dei risultati elettorali. Un rischio quest’ultimo denunciato ripetutamente dal Mas, il quale punta il dito sia contro l’opacità finora dimostrata dal Tribunale supremo elettorale, a partire dalla mancanza di trasparenza nel conteggio rapido dei voti, sia contro l’accordo con la Missione di osservatori dell’Osa, da cui certo, considerando come è andata l’anno scorso, sarebbe vano attendersi un intervento a tutela di Arce.

QUEST’ULTIMO, IN OGNI CASO, stando ai sondaggi, non sembra aver accusato una significativa perdita di consensi rispetto a Morales, il quale, benché eserciti ancora un certo controllo sul partito – è lui che ha deciso di puntare sull’ex ministro dell’Economia -, ha tuttavia perso popolarità tra le basi. E se queste, consapevoli della posta in gioco, si sono ricompattate intorno ad Arce – malgrado dal suo programma sembri addirittura essere scomparso il riferimento al buen vivir – è facile immaginare che il loro cuore sia con l’assai più amato candidato alla vicepresidenza aymara David Choquehuanca.