Crash del “macronismo”. La legge sull’immigrazione, l’ennesima da più di 40 anni, ha aperto una crisi politica epocale, di valori e di governo. Ieri sera, in attesa del voto dell’Assemblée nationale sull’ultima stesura del testo di riforma, uscita dalla Commissione mista (composta da 7 senatori e 7 deputati), 5 ministri del governo di Elisabeth Borne, venuti dalla sinistra, hanno minacciato le dimissioni. Si tratta in particolare di Clément Beaune (Trasporti), Rina Abdel Malak (Cultura), Sylvie Retailleau (Ricerca), Roland Lescure (Industria), malumori anche del ministro della Sanità, Aurélien Rousseau.

UNA RIUNIONE dell’ultima ora all’Eliseo ieri sera di fronte all’ondata di scontento sul testo di legge presentato dal ministro degli Interni, Gérard Darmanin, che pretendeva di voler essere «gentile con i gentili e cattivo con i cattivi», è finita nella confusione e nell’assurdo: Emmanuel Macron chiede una «seconda deliberazione», cioè un altro voto se nella notte il testo di legge passa solo grazie ai voti del Rassemblement national.

IL RISULTATO FINALE del testo, passato al macinino ideologico del momento, ieri sera era incerto: in serata è passato al Senato, con 214 voti a favore, del resto era stato ampiamente emendato e “destrizzato” dai Républicains, dominanti al Palais de Luxembourg ma minoritari in Francia, e in questa stesura presentato alla Commissione paritetica mista del parlamento.

In serata era atteso il voto all’Assemblée nationale, dove doveva essere discussa una nuova “mozione di rigetto” preventiva. Un’analoga mozione, presentata dalla sinistra e votata da tutte le opposizioni (anche dall’estrema destra), aveva già vinto lunedì scorso a Palais Bourbon, con un risultato paradossale: la bocciatura della legge del governo ha portato al voto di ieri un testo brutalizzato a destra.

L’ESTREMA DESTRA ha esultato prima del risultato finale. Per Marine Le Pen, è «una vittoria ideologica» del Rassemblement national, che ha annunciato il voto a favore dell’ultima versione dei suoi 88 deputati. Per l’estrema destra passa con questa nuova legge il progetto di «preferenza nazionale»: viene decretato un vantaggio dei francesi rispetto agli immigrati per le prestazioni sociali non contributive (assegni per la casa, per esempio). Viene anche limitato lo jus solis: le persone nate in Francia da genitori stranieri, che finora avevano diritto alla nazionalità francese ai 18 anni in modo automatico, dovranno presentare una domanda (come già succede per chi chiede la nazionalità prima della maggiore età). Ci sono freni all’accesso ai diritti comuni.

In ballo persino il diritto alle prestazioni sanitarie (i Républicains hanno imposto a Borne una lettera di impegno per presentare a gennaio una riduzione dei diritti sanitari degli immigrati). C’è una “cauzione” da pagare per gli studenti stranieri. La parte della legge che en même temps prevedeva regolarizzazioni per i lavoratori nei settori “in tensione”, viene ridimensionata drasticamente.

DARMANIN HA PROMESSO che la “regolarizzazioni” saranno raddoppiate: il partito di Macron, Renaissance, del resto è sempre stato solidale del padronato, che chiede forza lavoro (350mila i posti in Francia senza candidati in questo periodo), ma è cauta l’automaticità delle regolarizzazioni per i lavoratori, che dipenderanno da una decisione caso per caso dell’autorità amministrativa. Elisabeth Borne, che viene dal Ps, ha assicurato ieri sera che la legge non introduce la “preferenza nazionale”.

Ieri sera, in piazza a Parigi ci sono state le prime manifestazioni di protesta, soprattutto delle organizzazioni di giovani. Persino i “Giovani con Macron” esprimono dubbi. Ma dalla riunione all’Eliseo è uscito ieri sera che una parte del MoDem, che voleva votare contro, approverà il testo. Già Horizon, un’altra componente della maggioranza, accetta la legge. Nella maggioranza domina la confusione.

Per la sinistra, è una vergogna e una svolta epocale. «Vergogna assoluta» per il socialista Boris Vallaud. Olivier Faure, segretario del Ps, afferma che oggi c’è ormai in Francia c’è «una maggioranza di estrema destra». Per Jean-Luc Mélenchon, «sfigura l’immagine della Francia», che è un paese di immigrazione da secoli.