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Il voto ha alzato il velo sulla storica metamorfosi della sinistra

Ho votato Potere al popolo e non me ne pento. Ma mi guardo bene dal considerare un successo o un buon avvio il risultato elettorale uscito dalle urne

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 4 aprile 2018

Il che significa che dal panorama sociale e politico italiano sono scomparse quasi del tutto il modo stesso e la possibilità di pensare l’antitesi, cioè quell’insieme di pratiche organizzative politiche e di resistenza, che non deve essere confuso con ciò che comunemente si intende con «antagonismo». L’antitesi è, per parafrasare una nota definizione di Karl Polanyi, «la tendenza (…) a superare il mercato autoregolato subordinandolo consapevolmente ad una società democratica».

Per più di un secolo e mezzo questo ha significato culture e teorie critiche del capitalismo, unionismo sindacale, esperienze cooperative, partititi politici: in sostanza la complessa storia di quello che è stato chiamato movimento operaio e socialista. Di tale storia il Pci è stato insieme sintesi e sviluppo nell’Italia repubblicana.

La fine dell’antitesi in Italia risale alla prima metà degli anni Novanta del Novecento, ma la persistenza del personale politico del Pci nelle forme metamorfosate che ne sono seguite ha garantito allo spettro un’apparenza di vita nella forma della continuità modernizzatrice. Nelle metamorfosi suddette, fino al 2008, cioè fino alla forma Pd, i comunisti senza comunismo sono stati carne e sangue del processo. Ne sono stati i dirigenti nazionali, le articolazioni locali ad ogni livello, i punti di riferimento per parti essenziali del sindacato e mondo cooperativo. Un’imponente struttura sorrettiva dello spettro, grazie alla quale il corpo del Pci, morto perché privato delle ragioni storiche della sua esistenza, poteva deambulare come simulacro, condizionando gli spazi e i tentativi residui di ricostruzione.
Gli esiti renziani del processo metamorfico hanno però spazzato via ogni simulacro, e oggi siamo di fronte al problema della ricostruzione senza ostacoli spettrali, ma in condizioni difficilissime. Cinque lustri in cui la grande maggioranza della «sinistra» (così si è continuamente chiamata e così continua a rappresentarsi ed essere rappresentata) è stata il rovescio della sua funzione storica, non potevano che lasciare un campo di macerie.

Sul piano politico che, ricordiamo, è solo uno dei piani della ricostruzione, tale strada sembrava imboccata agli inizi del 2017, prima con il congresso di fondazione di Si che approvava all’unanimità una relazione, quella di Mussi, costruita con strumenti di analisi basati sulle teorie critiche. In seguito con il congresso del Prc che prendeva atto con favore dell’importante elemento di novità.

Sappiamo bene come sono andate le cose dopo, quali logiche hanno prevalso e come, di conseguenza, quei primi germogli siano subito gelati. Ognuno di noi, poi, ha fatto le proprie scelte elettorali in base al giudizio su tali esiti.

Nel contesto che si era creato ho appoggiato l’iniziativa di «Potere al popolo» e non ne sono pentito. Mi guardo bene, però, dal considerare un successo, od anche solo un buon avvio, il risultato elettorale dell’iniziativa; ed anche dal considerarla una sorta di via maestra per la costruzione dell’antitesi. L’iniziativa va certo approfondita, ma nella consapevolezza che si tratta solo di una tessera musiva di un insieme assai più ampio e composito, e che la costruzione/ricostruzione non nasce dal nulla. Troppi sono stati i commentatori del disastro elettorale che hanno teorizzato un nuovo inizio a partire da una tabula rasa, invocando la «rottamazione» di coloro che si sono impegnati nelle non felici esperienze elettorali degli ultimi anni.

Nei processi storici reali non esistono cesure di questo genere, non esiste un confine che non sia attraversato da lineamenti che vengono dal passato. Sono le sue forme che devono essere ripensate alla pietra di paragone della mutazione continua del modo di produzione capitalistico.

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