Martedì sera la giornalista che ha aperto il Tg1 con le principali notizie del giorno ha esordito con «Arrestata l’orsa Jj4», per correggersi subito dopo: «catturata». Ecco il punto. Ora arrivano in molti, montanari tosti e amministratori in cerca di consenso armato.

Insieme a tanti opinionisti inesorabili nella distanza televisiva a chiedere che Jj4 sia abbattuta a fucilate o con intervento chimico perché responsabile dell’uccisione del giovane e sfortunato Andrea Papi. Insomma, come nel mondo per un omicida viene evocata e praticata la pena di morte, secondo il principio di vendetta individuale, di comunità e di Stato, cioè la scellerata legge del taglione che dà la morte a chi la morte ha provocato. Ecco che nei confronti dell’orsa Jj4 abbiamo la stessa logica manettara e giustizialista che abbiamo verso i rapporti umani e sociali – tanto più se la colpevole non è «italiana» ma immigrata a forza com’è Jj4.

Dovremmo dunque uccidere l’orsa perché l’abbiamo umanizzata, rendendola simile a noi, alla nostra aggressività, quella sì scientemente omicida. Invece, senza fare un processo fatti alla mano, sappiamo che l’aggressività degli orsi non è contro l’uomo: se diventano tali è solo per paura e difesa.

Così deve essere tragicamente stato, perché l’orsa è stata in fuga per giorni con i suoi tre cuccioli, per difendere i quali deve aver scatenato, per istinto animale, la sua aggressività mortale. Adesso «agli arresti» in un recinto protetto dove aspetta inconsapevole la sorte, è credibilmente ancora più aggressiva perché è stata separata dalla cucciolata.

E mentre anche la madre del giovane runner, pur travolta dal dolore, dichiara: «No all’abbattimento, vogliamo solo giustizia» – vuol dire, troviamo le responsabilità degli uomini – , da più parti si insiste che «se l’animale minaccia l’uomo come si fa a non stare con l’uomo..?».

Eppure una cosa è difendersi anche in modo duro al momento di un’aggressione, un’altra è meditare ed eseguire una vendetta a freddo. L’esecuzione, se dovesse accadere, apparirebbe ancestrale, vale a dire ci riporterebbe alla nostra peggiore natura animale. Per noi che non dovremmo essere fatti a vivere come bestie. Non è questione di animalismo integralista, ma proprio di umanità e ragione.

Pietro Ingrao come poeta e non solo, ricordava a tutti noi che il livello di sviluppo della nostra società fondata su sfruttamento e mercificazione è arrivato al grado zero di distruzione delle risorse e dell’ambiente – defraudato, antropizzato, abusato dalle guerre – , che non c’è più nulla da dominare fuori di noi, ma solo da organizzare «dentro» una società libera e superiore. Per questo insisteva che le piante, gli animali tutti, feroci e domestici, essendo il «vivente non umano» che ci rimane, andrebbero custoditi con cura estrema. Altrimenti l’animale assassino siamo noi.