Si rivoterà oggi, alle 14 ora di New York, una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza, per un cessate il fuoco immediato a Gaza. La mozione inizia a circolare nel Palazzo di Vetro poche ore dopo la bocciatura della prima risoluzione statunitense che conteneva al suo interno l’espressione «cessate il fuoco». È stata abbattuta dal veto cinese e russo.

IL MOTIVO: non chiedeva il cessate il fuoco immediato ma ne sottolineava la necessità e legava una tregua di sei settimane al negoziato in corso tra Doha e Il Cairo. Agli occhi dei contrari, dunque, quel cessate il fuoco non sarebbe che un auspicio, non certo un’imposizione del Consiglio di Sicurezza.

Inoltre, condiziona l’eventuale pausa all’andamento del dialogo indiretto mediato da Usa, Egitto e Qatar: inutile, secondo Mosca, perché non fa tacere le armi. E non elimina, aggiunge l’Algeria, il rischio di un’operazione terrestre israeliana su Rafah, città-rifugio per 1,5 milioni di sfollati palestinesi.

A New York è andata in scena la più fine battaglia diplomatica, sulle parole e sulle intenzioni. Washington risponde alle critiche: quella risoluzione conteneva il rigetto di ogni ulteriore sfollamento della popolazione di Gaza e «il bisogno urgente di ampliare il flusso degli aiuti umanitari», accanto alla condanna dell’attacco di Hamas del 7 ottobre (che ha provocato l’uccisione di quasi 1.200 israeliani) e alla richiesta di rilascio di tutti gli ostaggi ancora a Gaza. Agli avversari non basta erano più avanzate, dicono, le risoluzioni precedenti – quelle che chiedevano un cessate il fuoco immediato e senza condizioni – bloccate dai veti statunitensi.

Secondo Riyad Mansour, ambasciatore palestinese alle Nazioni unite, il rigetto del tentativo Usa è «ovvio»: non menziona mai Israele. La Francia da parte sua ha promesso di portare sul tavolo del Consiglio una nuova risoluzione, negoziata con le tante anime che lì dentro si confrontano da mesi senza riuscire a trovare un accordo che ponga fine al massacro di Gaza. Qualcosa si muove pure a Londra, dove ieri Alicia Kearns, a capo del comitato per gli affari esteri della Camera dei Comuni, ha annunciato il possibile stop britannico alla vendita di armi a Israele.

Mentre nelle capitali occidentali si discute, a Gaza non c’è pace. L’ospedale Shifa è al suo quinto giorno di assedio israeliano. L’Organizzazione mondiale della Sanità ieri ha detto di aver perso i contatti con il proprio staff medico all’interno e di non avere idea delle condizioni dei pazienti. «Entrare dentro è ora impossibile e ci sono notizie di lavoratori sanitari arrestati», ha scritto su X il capo dell’Oms Tedros Ghebreyesus.

LE FORZE ISRAELIANE hanno bombardato alcuni edifici del grande complesso dello Shifa e dato alle fiamme il dipartimento vascolare. Bombe anche su palazzine nei dintorni dell’ospedale. Secondo il ministero della sanità di Gaza, 240 pazienti del reparto di radiologia sarebbero agli arresti, insieme a dieci medici.

Testimoni – chi riesce a sfuggire ai cecchini – hanno raccontato di nuovo ieri alle agenzie stampa il girone infernale che è lo Shifa: i soldati «picchiano tutti i giovani e li arrestano», ha detto un paziente, Younis, all’Afp. Per Israele si tratta di miliziani: 150 quelli uccisi, ha detto ieri l’esercito, in «operazioni precise» dentro l’ospedale.

Le accuse di crimini di guerra, giornalieri ormai, si accumulano: ieri la ong Euro-Med Human Rights Watch ha pubblicato un breve rapporto sulle ultime 24 ore allo Shifa: esecuzioni extragiudiziali, bombardamenti e incendi appiccati alle case intorno, dicono testimoni e sfollati che raccontano di incursioni nelle abitazioni, pestaggi e arresti. E di residenti cacciati via che hanno visto le loro case date alle fiamme.

Si bombarda anche altrove. Il bilancio aggiornato dei palestinesi uccisi dal 7 ottobre ha superato i 32mila, a cui si aggiungono 74.300 feriti. Due terzi sono donne e bambini. Otto le vittime ieri a Rafah, colpita dall’aviazione israeliana; tre a Khan Younis nel bombardamento di una casa. I palestinesi denunciano uno «schema» preciso, prendere di mira edifici residenziali. È successo ieri anche a nord di Gaza City: una famiglia di dieci persone uccisa in un raid.

Emergono anche le prove di stragi passate, registrate da un drone israeliano e fatte arrivare alla stampa: a inizio gennaio l’uccisione, dal cielo, di quattro giovani palestinesi a Khan Younis, mentre camminavano disarmati lungo una strada distrutta poco prima da un bulldozer israeliano. Il drone li ha seguiti per un po’, poi ha aperto il fuoco.

INTANTO nel resto dei Territori occupati è stato un altro venerdì di divieti, arresti ed espansione coloniale. Con la moschea di al-Aqsa chiusa a buona parte dei fedeli musulmani che avrebbero voluto pregare sulla Spianata nel secondo venerdì di Ramadan, il ministro delle finanze (colono e leader del partito di ultradestra Sionismo religioso) Bezalel Smotrich ha annunciato ieri l’intenzione di costruire nuove colonie su 80 ettari di terra nella Valle del Giordano, nella Cisgiordania occupata.

Alla stampa israeliana ha parlato di piani di costruzione di centinaia di unità abitative e anche di un distretto industriale. Un «obiettivo strategico» ha detto: mentre tutti guardano a Gaza, l’avanzata in Cisgiordania non si è fermata nemmeno per un secondo.