Non sono passati ancora 20 giorni dall’inizio del 2023 che in Honduras si contano già 18 donne uccise. Le ultime tre, Cristy Fabiana Espinoza, Ana Castillo e Janahira Castillo, appartengono alla comunità Garifuna (popolazione di orgine miste afro-amerindie) e sono state freddate mentre erano in riva al mare. «Non è un fatto isolato, ma parte di una strategia per svuotare le nostre comunità, una strategia che ha come obiettivo il terzo esilio del popolo Garifuna (il primo fu dall’Africa, il secondo dall’isola di Saint Vincent, ndr)» sostiene l’Organizzazione fraternale nera honduregna (Ofnh).

RONI CASTILLO, DIRIGENTE del gruppo, afferma che «nel paese corruzione e impunità hanno preso il sopravvento. Ci sono legami fortissimi tra membri delle bande del crimine organizzato e alti funzionari istituzionali, tra cui esponenti della magistratura e della polizia. Il cambio di governo in Honduras, per ora, è una sorta di inganno perché non c’è stato il ricambio di questi personaggi, così come a livello locale restano sindaci e amministratori compromessi e corrotti. Il crimine organizzato – conclude Castillo – è uno strumento per l’estrattivismo, è una forma di esproprio e sgombero dei territori».

Il popolo Garifuna è arrivato in Honduras oltre 200 anni fa dopo essere stato cacciato da Saint Vincent. Da allora vive nelle zone caraibiche del paese, territori di interesse per le grandi imprese dell’agroalimentare e i progetti di turistificazione. Per impossessarsi dei territori garifuna, economie legali e crimine organizzato si alleano. Violenza e omicidi sono generalizzati in tutto il paese. Sono il risultato di almeno 40 anni di politiche neo-liberiste e di governi che hanno garantito esclusivamente alcuni strategici interessi continentali e che hanno lasciato nel paese macerie sociali ed economiche. Stiamo parlando di uno dei paesi più poveri al mondo, dove circa il 40% della popolazione è sotto la soglia della povertà assoluta.

POVERTÀ E INSICUREZZA hanno garantito spazio sempre maggiore al crimine organizzato, e così la violenza è diventata un fattore che, unito all’insicurezza e alla povertà, ha trasformato l’Honduras in un paese di migrazione e nella patria delle carovane migranti. Ma è certo che violenza e omicidi, per quanto generalizzati, sono uno strumento con cui i poteri, legali e illegali, risolvono i conflitti. Nonostante l’attuale governo stia cercando di mettere un freno a povertà e violenza.

I funerali dei due “difensori dei fiumi” assassinati a Guapinol

Se la storia di Berta Cáceres ha fatto il giro del mondo e la resistenza garifuna, etnia fortemente organizzata e vicina alle idee zapatiste dell’Autonomia Indigena, è capace di raccontarsi dentro e fuori i confini del paese, purtroppo sono quasi quotidiane le esecuzioni di attivisti e attiviste che vengono raccontate come omicidi comuni. Non è un caso che il 7 gennaio Aly Magdaleno Domínguez Ramos e Jairo Bonilla Ayala, membri della resistenza popolare di Guapinol – gruppo nato per difendere i fiumi che nascono nel Parco Nazionale Carlos Escaleras (nel dipartimento di Colón) e che per questo si oppone alla costruzione di una miniera di ferro – sono stati trovati morti nella loro comunità.

Un omicidio che si è cercato di declassare a semplice episodio di violenza ma che pare invece un nuovo caso Cáceres: è una crescita nel livello di repressione della resistenza popolare, dopo che lo scorso febbraio sei attivisti del gruppo che lotta contro la compagnia mineraria Inversiones Los Pinares sono stati condannati per la loro resistenza. Condanna che ha fatto scattare un’azione internazionale di Amnesty International per chiederne la liberazione.