Un tour di una giornata costa 149 dollari, ma si può soggiornare nell’area di Chernobyl fino a una settimana: in quel caso il pacchetto turistico offre anche un «corso di sopravvivenza alle radiazioni». Negli anni la zona del disastro nucleare – ritenuta inabitabile per i prossimi 20.000 anni – si è infatti tramutata in un’improbabile meta turistica. Partenza da Kiev e visita guidata dei luoghi «celebri» della tragedia, dalla centrale stessa con l’enorme sarcofago che racchiude il reattore numero 4 – la più grande struttura mobile mai realizzata: a causa dell’alto livello di radioattività non ha potuto essere costruita direttamente sul reattore – alla vicina Pripjat.

DAL MONUMENTO «A coloro che salvarono il mondo» – visitato tutti gli anni dai pompieri di Kiev nella ricorrenza del disastro – all’impenetrabile Foresta rossa così detta per l’effetto delle radiazioni sul suolo e la vegetazione.

Ai turisti – strettamente sorvegliati, ad eccezione di chi entra a Chernobyl «clandestinamente»: i cosiddetti stalker – è consentito fotografare tutto, tranne la centrale nucleare e gli agenti di polizia, e nel tour è compreso anche un pasto insieme agli operai nella mensa della centrale, dove decine di persone ancora lavorano allo smantellamento di quelle strutture.

Per tenere sotto controllo la radioattività, a ogni visitatore è consegnato un contatore geiger che consente di tenersi alla larga dalle zone più contaminate, distribuite a macchia di leopardo, e di stimare la quantità di radiazioni assorbite nell’arco della visita che – è la promessa – non dovrebbero superare quelle di una lastra.

UNA SORTA di turismo dell’apocalisse, che deriva il suo surreale «fascino» dall’angoscia emanata da luoghi che rimandano incessantemente al momento in cui la Storia si è fermata. In particolare nelle case di Pripjat, interamente evacuata a 36 ore dall’esplosione, il 27 aprile 1986, con l’assicurazione che si trattava di una misura «momentanea».

Inghiottite quasi interamente dalla vegetazione, oggi quelle case raccontano ancora il frettoloso e inconsapevole addio dei loro abitanti: oggetti, tavole apparecchiate, letti sfatti sono ancora lì, a distanza di 33 anni, ad attendere il ritorno imminente di un’intera città.