Il terzo voto non c’è. May chiederà un’altra estensione all’Ue
Brexit Ma il negoziatore di Bruxelles gela Londra: «Nessuna proroga senza vere ragioni»
Brexit Ma il negoziatore di Bruxelles gela Londra: «Nessuna proroga senza vere ragioni»
A nove giorni alla British Exit, il prossimo 29 marzo, Theresa May non riesce a pacificare nemmeno il suo stesso governo mentre, secondo Michel Barnier, l’Ue non concederà il rinvio dell’uscita votato dall’aula la scorsa settimana. Eppure Brexit, la serie televisiva che Netflix avrebbe voluto produrre e che sta minacciando il primato di Coronation Street quanto a durata (in fondo la soap va in onda solo dal 1960), stava accusando un preoccupante calo di ascolti.
PER QUESTO JOHN BERCOW, lo Speaker e maestro di cerimonie di Westminster (quello che, un pelo congestionato, urla oooodaaaa – «order», ordine – con voce roca per disciplinare l’aula) inietta un po’ di brio nella trama. Con la complicità di Erskine May (nessuna relazione di parentela con la premier).
Ma andiamo con disordine. Dopo aver coperto la cicatrice del backstop con un velo di fondo tinta, ieri Theresa May avrebbe dovuto sottoporre alla Camera il suo accordo per l’uscita del Paese dall’Unione europea per la terza volta, il cosiddetto «voto significativo 3». Con simile machiavellico intrigo intendeva prendere per sfinimento i deputati che avevano già respinto il documento per due volte e con maggioranze imponderabili (230 e 149 voti, rispettivamente a gennaio e lo scorso 12 marzo) per poi chiedere a Bruxelles un’estensione «tecnica», di tre mesi dell’articolo cinquanta per produrre la legislazione necessaria a realizzare l’uscita secondo detto accordo.
Ma non aveva fatto i conti con il deputato Tory che ricopre la carica di Speaker da un decennio, che è di simpatie remain e dunque indigesto alla destra euroscettica del partito.
Bercow è andato a rileggersi tutte le 496 pagine dell’Erskine May, sorta di manuale di riferimento della pratica parlamentare che prende il nome dal costituzionalista vittoriano che ne è autore. È ovvio che, in un Paese senza il tedio di una costituzione scritta, la pratica del passato (anche detta tradizione) diventi dirimente. E May (il manuale), riporta decisioni risalenti al 1604 secondo cui la camera non può vedersi chiedere due volte dal governo la stessa cosa, figuriamoci tre.
DECISIONI addotte dallo speaker per giustificare la propria opposizione al terzo sequel del voto significativo, facendo lo sgambetto a una May (la premier) che annaspa. E che ora si troverà costretta, giovedì, quando tornerà a Bruxelles a chiedere un’estensione ben più lunga dei tre mesi inizialmente ventilati, pare fino a nove, con ripercussioni devastanti sulla psiche sia dell’opinione pubblica britannica che della controparte europea. Naturalmente senza che sia scontato la ottenga. L’Inghilterra elisabettiana del Seicento aveva da vendere quel buonsenso di cui la Gran Bretagna elisabettiana di oggi sembra tragicamente deficitaria.
Ma tant’è. A prescindere dal protagonismo e dal frisson di Bercow nel fare uno sgambetto fatale a un governo barcollante a guida del suo stesso ex-partito, lo speaker ha il merito di aver fatto precipitare in termini ineludibili la crisi costituzionale innescata dall’esito referendario.
UN VIZIO DI SOSTANZA che vede un governo di minoranza quasi tutto per il leave opporsi a un parlamento a maggioranza filo-remain. Del resto gli umori a Westminster sono talmente ferali che, Bercow o non Bercow, May avrebbe comunque avuto un gran da fare per coartare nella terza replica dello stesso identico copione un Parlamento che vede offesa la propria intelligenza e sminuita la propria capacità decisionale.
Intanto la canizza fra i Tories prosegue, con i brexittieri più ferventi che studiano possibili modalità di aggiramento della volontà dello speaker, magari scartabellando la corrispondenza privata di Canuto il Grande. Una possibilità sarebbe una mozione di sfiducia nei confronti dello stesso Bercow.
E quindi, nel pieno rispetto della tradizione assurdista che ormai governa ogni passo di questa lunga marcia verso il nulla, votare contro la decisione di non votare di nuovo qualcosa contro cui si è già votato due volte e che non ha nessuna chance di passare una terza. Mentre Locke, Mill e Bentham girano nella tomba come le spugne di un autolavaggio.
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