È amaro dirlo ma il terrorismo jihadista in parte ce lo meritiamo. Basti pensare che proteggiamo il mandante dell’assassinio di Jamal Khashoggi, il principe Bin Salman, a capo di uno Paese che per decenni ha alimentato il radicalismo islamico. La Francia ha usato i jihadisti per far cadere Assad, così come la Turchia e le monarchie del Golfo. Poi si è pentita mentre i giornalisti che raccontavano la verità finivano nelle carceri di Erdogan. Il ministro Salvini attacca Hezbollah che ha combattuto contro l’Isis e liberato i villaggi cristiani in Siria ma è amico di Netanyahu che i jihadisti sul Golan li sosteneva in funzione anti-Assad.

MA COSA VUOLE questo Occidente invertebrato? Le mani sporche del sangue degli altri e le canzoncine di Natale? Così la generazione Isis colpisce ancora. La fine territoriale del Califfato in Siria e Iraq non è stata certo la fine del terrorismo e dell’ideologia jihadista. In Francia ci sono 26 mila persone schedate a rischio radicalizzazione e i giornali grondano della solita retorica che segue ogni attentato nel cuore dell’Europa che mette in pericolo «la democrazia e il nostro stile di vita».

Una litanìa tragica che abbiamo sentito molte volte: sappiamo di avere il nemico in casa e in un certo senso fa pure comodo. E farà comodo anche al governo di Macron che per il terrorismo aveva dovuto decretare lo stato d’urgenza. Anche i gilet gialli passano in secondo piano in momenti dolorosi come questo che colpiscono l’intera nazione, per di più sotto Natale. In realtà un malinteso multiculturalismo e le sotto-culture destabilizzanti lavorano da anni sotto traccia nelle nostre società e in particolare in Francia dove le periferie urbane ribollivano già 30 anni fa.

IN QUELLA FRANCIA dove il tentativo di assimilazione degli immigrati, in particolare dalle ex colonie francesi, aveva avuto successo nel dopoguerra ma si è infranto di fronte alle seconde e terze generazioni che hanno respinto il modello culturale dominante.

Qui, è bene ripeterlo, stiamo parlando non più di immigrati ma in gran parte di cittadini francesi che di sono trasformati in terroristi e nemici della Republique. Il fenomeno della radicalizzazione islamica dei musulmani in Europa era già cominciato negli ’80 con l’Afghanistan soltanto che allora i mujaheddin, poiché combattevano contro l’Unione Sovietica, non erano considerati «terroristi» dall’Occidente ma «guerrieri della libertà».

IL PUNTO DI SVOLTA sono stati gli anni’90, con la guerra civile in Algeria, Al Qaida, l’11 settembre 2001 e l’attacco americano all’Iraq del 2003.
Ma in Francia l’esplosione del radicalismo ha coinciso soprattutto con la guerra civile in Siria dove sono affluiti centinaia di combattenti dalla Francia e da altri Paesi europei, oltre che migliaia dal mondo musulmano, per tentare di abbattere il regime di Assad.

All’inizio il governo francese ha chiuso un occhio in quanto puntava insieme agli Usa, alla Turchia e alle monarchie arabe del Golfo, grandi clienti di Parigi, di far fuori Assad nella sua ex colonia. Poi quando i jihadisti sono tornati in patria a compiere attentati Parigi è stata costretta a cambiare del tutto strategia. Il presidente Hollande che prima voleva bombardare il regime di Damasco, dopo gli attentati di Parigi del 2015 ha chiesto la collaborazione dei siriani per colpire con i raid aerei il Califfato di Al Baghadi.

L’UNICO CHE NON CAPISCE ancora che storia è questa è il ministro degli interni italiano Salvini che in Israele ha attaccato Hezbollah, il movimento sciita libanese, che controlla il sud del Libano dove sono di stanza i soldati italiani di Unifil. Gli Hezbollah per sostenere Assad hanno combattuto i jihadisti mentre proprio il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che piace tanto a Salvini, li sosteneva nel Golan in funzione anti-Damasco

L’Isis ha fornito un modello resistente e collaudato ai nuovi jihadisti e anche quando il Califfato è crollato in Siria e in Iraq ha continuato a costituire un riferimento per gli aspiranti jihadisti con il suo network diffuso soprattutto sul web e nelle carceri. Del resto neppure Al Qaida è finita con la sconfitta in Afghanistan nel 2001 e con l’uccisione di Osama bin Laden in Pakistan. In Siria i gruppi jihadisti, di varie declinazioni, sono ancora lì, concentrati a Idlib.

C’È UN DATO sul quale si dovrebbe riflettere: l’attentatore di Strasburgo, Cherif, 29 anni, è una delle 26 mila schede «S» della Francia intestate dalla sicurezza a individui a rischio di radicalizzazione islamica. Sono dozzine gli schedati «S» che hanno compiuto attentati in questi anni in Francia, a partire dagli attentatori di Charlie Hebdo, i fratelli Kouachi: anche loro erano delle schede«S».

Non ci vuole molto a capire che seguire, pedinare e controllare 26 mila persone, un vero esercito, è un compito assai arduo. In questo caso poi le polemiche saranno ancora più feroci perché la gendarmeria francese doveva arrestare Cherif, probabilmente di origini maghrebine, per la sua partecipazione a una rapina a mano armata. In casa gli avrebbero trovato anche della granate. Adesso bisogna capire se l’attentato di Strasburgo sia stata un’iniziativa improvvisata, innescata dal fatto che si sentiva braccato, oppure la decisione di entrare in azione faceva parte di un piano prestabilito e Cherif poteva anche contare su qualche complice.

Ma una cosa è certa: la «generazione Isis» non si ferma a Strasburgo.