La Dignitatis Humanae Institute (DHI) rimarrà alla Certosa di Trisulti. Lo ha deciso il Tar di Latina che ha anche condannato il Ministero dei Beni culturali al pagamento delle spese per 6mila euro. Non ammesse al procedimento invece le associazioni locali che si erano costituite a sostegno del Mibact.

Eravamo andati a trovare Benjamin Harnwell, presidente della DHI qualche giorno fa mentre ancora aspettava la sentenza. Quel giorno ha sfoderato un asso dalla manica che lasciava presagire la sua vittoria: due giorni prima dell’udienza del 13 maggio, la DHI ha pagato il canone annuale d’affitto di 100 mila euro e 1000 euro di adeguamento ISTAT. Poche le speranze che il Tar accettasse l’intervento ad opponendum delle 12 associazioni locali a sostegno del Mibact in autotutela contro la DHI, attivata con una lentezza elefantiaca andando ben oltre i 18 mesi dalla firma del contratto previsti dalla legge.

La storia del bando

Il Mibact (anche al tempo il ministro era Dario Franceschini, del Pd), aveva assegnato la Certosa di Trisulti, un imponente complesso abbaziale immerso nei boschi dei monti Ernici, ricco di storia (le origini risalgono all’alto medioevo) e di arte con un enorme patrimonio di libri antichi e una farmacia finemente decorata da Filippo Balbi (il pittore ottocentesco autore della notissima testa anatomica del Louvre) all’associazione fondamentalista cattolica Dignititatis Humanae Institute (DHI).

Una fondazione capeggiata, fino a qualche mese fa, dal cardinale conservatore Raymond Burke e finanziata dall’ex consigliere del presidente degli Stati Uniti Steve Bannon, apostolo del sovranismo che ha immaginato Trisulti come sede europea da cui lanciare i paladini della sua crociata per la salvezza dell’occidente giudaico-cristiano.

Il giorno fatale è il 29 gennaio 2019 quando il Polo Museale del Lazio, braccio esecutivo del Mibact, a conclusione della gara per l’affidamento della gestione – voluta da Franceschini per liberare lo Stato dall’onerosa incombenza, dopo la rinuncia operata dai monaci cistercensi che la detenevano dal 1947, dopo la presenza secolare dei certosini – firma il verbale di consegna.

Nascono subito le polemiche, sollevate dall’opinione pubblica e dalla stampa, non solo per l’esplicito disegno politico “salviniano” che sono gli stessi gestori a dichiarare ai quattro venti, contraddicendo la tradizione spirituale del luogo particolarmente cara alle comunità locali, ma anche per le numerose anomalie nelle procedure di aggiudicazione che vengono alla luce: mancanza del requisito della personalità giuridica, acquisita solo dopo l’effettuazione della gara; curriculum quinquennale di gestione di musei, comprovata appoggiandosi a un inesistente museo del circondario; falsa asseverazione finanziaria denunciata dalla stessa Banca, un’agenzia con sede in Gibilterra della danese Jyske Bank, citata nei Paradise Leaks.

Insomma, l’accusa di falso, su cui stanno ancora indagando due procure, quelle di Frosinone e di Roma, non sembra infondata e trova eco in una interrogazione parlamentare del deputato di LeU Nicola Fratoianni che, spirato il governo Gentiloni, sbatte la questione sul tavolo del nuovo ministro dei Beni culturali il pentastellato Alberto Bonisoli.

A questo ministro si deve un’ispezione del ministero e l’avvio della procedura di revoca della concessione, completata da Franceschini che, tornato al Mibact, mostra di accorgersi dell’errore e firma, tardivamente, il decreto di revoca.

Aggiungendo alle tante contestazioni anche una diffida per “morosità”, dato che la DHI ha saltato il pagamento della prima delle 19 “rate” annuali di 100 mila euro ciascuna la cifra che si è impegnata a garantire, con la speranza di scontarla lungo l’intero arco della concessione, in cambio di lavori di ristrutturazione stimati, guarda caso, proprio in 1 milione e 900 mila euro.

Naturalmente le cose non finiscono qui.

 

 

La DHI presenta un ricorso contro la revoca al Tar di Latina. Una partita tutt’altro che scontata, alla quale hanno chiesto di entrare, con un intervento ad opponendum di sostegno alle ragioni del Mibact, numerose associazioni del territorio, incoraggiate dallo stesso Vescovo di Anagni-Alatri, monsignor Lorenzo Loppa, in un primo tempo non ostile al progetto della DHI, ma adesso assai deciso a impedire che dietro il paravento di una Certosa tanto importante vada a svilupparsi un disegno “politico” anti papa Francesco.

Benjamin se la ride sui tetti della Certosa

Al telefono, Benjamin Harnwell è contento della vittoria, ma non commenta la sentenza perché – dice – ancora non l’ha letta.

La notizia segue la visita di una settimana fa, quando ero andata a vedere se la sospensione del coronavirus avesse in qualche modo colpito l’inquilino della Certosa.

Benjamin Harnwell ci ha tenuto a strapparmi un sorriso, facendo lo spiritoso cacciando la faccia nello spioncino a porticina del grande portone di legno dell’entrata della Certosa.

Baffi e pizzetto alla D’Artagnan, cappello a cloche calato sugli occhi. Forse per distrarre la mia attenzione dal faccione di Gesù Cristo, stile Che Guevara, sul portellone posteriore della sua vecchia utilitaria parcheggiata in modo ostensivo, a marcare il territorio come i cani, davanti al monumento nazionale di Trisulti.

Lancia accuse alla campagna di linciaggio morale nei suoi confronti da parte della stampa di “sinistra” che lo ha condannato alla miseria e alla solitudine in quella Certosa immensa.

“Continuano ad infangare la mia reputazione perché non possono controbattere i miei argomenti. Non ho peccato di mendacità, ho sempre agito nel rispetto della legge”, brandendo come spade messaggi e lettere scambiate con i vertici del Mibact e dell’Agenzia del Demanio che userà, dice, per difendersi dalle calunnie.

Non cambia di una virgola le dichiarazioni fatte l’anno scorso quando il caso Trisulti è rimbalzato sulla stampa internazionale, quando i giornalisti di tutto il mondo venivano fino alla Certosa, nel cuore dei Monti Ernici in Ciociaria, per conoscere da vicino il personaggio.

“Oggi non viene più nessuno. Solo Report e tu”, dice maliziosamente, come a sottolineare che solo i nemici “di sinistra” si interessano alla vicenda.

La foto di Harnwell con il cardinale americano campeggia ancora nella homepage del sito di DHI, ma il capofila del fronte dei tradizionalisti nella Chiesa Cattolica non fa più parte del consiglio di amministrazione, da quando Steve Bannon ha dichiarato pubblicamente di voler fare un film tratto dal libro Sodoma del giornalista francese Frédéric Martel sull’omosessualità in Vaticano, che ridicolizza particolarmente il cardinale Burke.

“Tra Steve e il cardinale Burke c’è stata una rottura pubblica totale – dice Harnwell, mentre continua a mettersi a posto i capelli – perché il cardinale si è sentito diffamato dal libro e offeso dall’idea del film”.

Poi si ferma un attimo, come a misurare le parole, prima di concludere.

“Posso capire che il cardinale se la sia presa, ma non capisco il motivo per cui abbia rotto con la DHI. Il film non è un progetto della DHI.” Sembra quasi che voglia smarcarsi anche lui da Bannon… ma no, non tradirebbe mai l’amato Steve che lo ha definito “il tipo più intelligente a Roma”.

Della squadra di nomi altisonanti che formavano il consiglio di amministrazione della DHI sono rimasti in pochi.

Il sito della DHI si è via via depauperato di nomi importanti di pari passo con le vicende mediatiche e giudiziarie.

È sparito il nome del cardinale Renato Martino, accusato dall’ex nunzio Carlo Maria Viganò di appartenere alla corrente omosessuale vaticana; così pure sono spariti i nomi di Gianluca Volonté insieme a quello di Rocco Buttiglione, per esempio.

Eppure, ci sono ancora alcuni nomi sonanti dell’ala conservatrice e tradizionalista del clero cattolico, come il cardinale Robert Sarah.

Nel board è ora presente un personaggio chiave della ultradestra americana, Austin Ruse, l’amico fidato che ha fatto incontrare Harnwell a Steve Bannon nel 2014.

 

bannon meloni
Steve Bannon a Roma con Giorgia Meloni nel 2018, foto LaPresse

 

“Steve veniva per 24 ore in Italia e voleva incontrare il cardinale Burke. Austin gli ha consigliato di parlare con me perché sarei stato l’unico in grado di organizzare l’incontro. E così è stato.”

Da allora, Harnwell dice di essere il rappresentante in Italia di Bannon per cui nutre una venerazione assoluta. È convinto della sua onnipotenza, del fatto che Steve “vincerà su tutti”, oltre ad essere convinto che coloro che sono andati via dalla DHI torneranno, dopo la vittoria in tribunale.

Del resto, ci tiene a dire che “Steve non è preoccupato se non riusciamo a fare l’accademia dell’occidente giudaico-cristiano a Trisulti. La faremo in un’altra città. A Gerusalemme oppure ad Atene, i simboli della nostra civiltà”.

Benjamin Harnwell ha scelto per sé le stanze che furono degli abati. Si schernisce della polvere, ma – dice – non riesce a rassettare e mettere in ordine da quando la colf non si è fatta più vedere.

Sui tavoli e sui mobili, ci sono centinaia di bigliettini in greco divisi in mucchietti.

“Sto studiando greco alessandrino per poter leggere il nuovo testamento in originale. Sono oltre 5.000 parole nuove e quest’anno ne ho imparate solo 1.000”.

Da quando sono entrati i ladri che hanno rubato 16.000 euro sul suo comodino, l’impianto di sicurezza è fatto da una quantità incredibile di chiavi e chiavistelli.

Le stanze sono alla fine di un lungo corridoio, nessuna voce, nessun suono, solo il rintocco delle campane che segna le ore. Su un radiatore una camicia appesa ad una stampella e sul davanzale di una finestra che dà sul chiostro, con i suoi meravigliosi alberi di tasso, una bottiglia di whisky a metà.

Gli fanno compagnia un pianoforte scordato, e due gatti, Filomena e Lazzaro, che accorrono alla finestra ai suoi richiami.

Ha rimesso mano agli orti, quelli che per secoli sono stati coltivati dai monaci, prima dai certosini e dal 1947 dai cistercensi di Casamari.

 

 

Da signorotto di campagna quale appare, ci tiene a far vedere la sua anima green: potati gli alberi e cavate le erbacce, con l’aiuto di un paio di aiutanti che sembrano i personaggi panciuti degli affreschi di Filippo Balbi, il pittore ottocentesco che in cambio di ospitalità ha adornato con affreschi le volte della farmacia certosina.

Sgambetta felice tra le piante di assenzio, il finocchio selvatico e i fiori blu della borragine, eredità sparute degli orti dei monaci. S’inginocchia a ogni immagine sacra e bacia uno per uno, una nidiata di gattini appena nati, nascosti tra una montagna di detriti, legna accatastata, letti rotti e frasche ammassate, in un paesaggio sospeso di degrado.

La fontana a forma di volto umano è secca, bisognosa di restauro urgente. Nel retro del monastero si sente solo il singhiozzo della turbina idroelettrica senza manutenzione da troppo tempo.

“Ci sono le bollette salatissime dell’Enel che dobbiamo pagare”, si lamenta Harnwell. “Purtroppo, da un anno ho la spada di Damocle sulla mia testa, non posso invitare i miei collaboratori e non possiamo fare reddito con le nostre attività di formazione. Poi il coronavirus ha bloccato le visite a pagamento”.

Che il coronavirus avesse intaccato le entrate anche del paladino dell’occidente giudaico-cristiano non c’erano dubbi.

Anche se qui le linee telefoniche non funzionano granché, è bastato un messaggio WhatsApp a Benjamin Harnwell che con una “saponetta” wifi, sul davanzale di uma finestra che si affaccia sulla vallata, si collega con le onde sonore del mondo.

Harnwell torna a quella accademia per la salvezza dell’occidente giudaico-cristiano annunciata ai quattro venti da Steve Bannon l’anno scorso, e che ha suscitato le preoccupazioni del Mibact: “La pericolosità l’ha inventata la sinistra per farmi fuori. In sé, la nostra presenza qui è salda.”

Come un asso, tira fuori dalla manica il bonifico bancario da 100 mila euro per il pagamento del canone d’affitto 2019 e un altro da 1000 euro di adeguamento ISTAT. E con questa considera ribaltata la questione dello sfratto.

Ma quando ha pagato? Due giorni prima dell’udienza del 13 maggio al TAR di Latina. E chi avrà pagato? “Ma Steve e i benefattori americani!” Chi altri?

Con la sentenza di oggi, oltre al danno, per le associazioni del territorio anche la beffa. Al Mibact non rimane che ricorrere al Consiglio di Stato.