Il sito medievale di Mota de Trespalacios, affacciato sulla costa della Cantabria, è l’epicentro di un mistero che sembra interrogare il passato, quasi i fantasmi di mille anni or sono abbiano deciso di tornare a turbare i sogni di quanti ancora oggi vivono nella zona. L’indagine che deve affrontare la tenente della Guardia Civil Valentina Redondo metterà a dura prova l’abituale approccio scientifico della giovane poliziotta che anche di fronte ai casi più oscuri tende a confutare le piste che non riconduco alla più stretta razionalità. Un posto dove andare (Ponte alle Grazie, pp. 550, euro 19,80) è il secondo capitolo della serie di romanzi polizieschi firmati da María Oruña e inaugurata con Il porto segreto (Ponte alle Grazie) che segue le indagini di Valentina Redondo sullo sfondo dello straordinario scenario naturale della Cantabria, la regione costiera del Nord Ovest della Spagna. Nata a Vigo nel 1976, una laurea in legge e dieci anni di lavoro in uno studio legale della città galiziana prima di dedicarsi completamente alla scrittura, María Oruña è considerata una delle voci più interessanti del nuovo noir iberico. La scrittrice presenta oggi alle 17,00 il suo romanzo nell’ambito di «Nebbia Gialla», il Suzzara Noir Festival che si concluderà domani.

Il cadavere di una giovane in abiti medievali rinvenuto nei pressi di un’antica costruzione, delle monete antiche trovate su altri corpi, un’indagine di polizia che incrocia le ricerche di storici, archeologi, speleologi: come è nato questo romanzo?
Amo la Storia e credo sia un elemento che emerge da tutti i miei libri. I lettori possono intuire che in tutte le trame di ciò che scrivo c’è una sorta di ricerca della conoscenza: chi siamo? Perché siamo qui, nell’unico pianeta conosciuto che dispone dell’acqua? Per me è interessante esplorare questi quesiti studiando noi stessi e la terra, e non lo spazio. E se posso farlo suscitando interesse attraverso un mistero o un delitto, perché no? Sapevo che in Cantabria ci sono moltissime grotte meravigliose, così mi è venuta quasi naturalmente l’idea di iniziare da lì questa mia indagine e costruire la storia a partire da tutto ciò.

Gli elementi che emergono dall’inchiesta guidata da Valentina Redondo sembrano condurre gli investigatori a pensare di essere sulle tracce di un “viaggiatore del tempo”: per risolvere il caso dovranno in qualche modo anch’essi compiere questo viaggio?
Siamo tutti figli della Storia, ma sembra che, a volte, dimentichiamo questo punto decisivo. Mi piaceva l’idea di iniziare il libro con qualcosa di impossibile: un viaggio nel tempo. Sarebbe interessante fare in modo che il lettore provi a risolvere il mistero senza fantasia, solo con la scienza, la storia e il buon senso. Perciò, per dar corpo a questo processo, ho scelto di includere vicende reali e reperti archeologici che aiutassero chi legge a compiere il proprio personale e singolare viaggio nel tempo.

Il noir sembra intrecciarsi in questo caso al romanzo d’avventura, a tratti con al romanzo storico: quanto le interessano queste «incursioni» in altri generi?
Diciamo che il mio approccio alla scrittura non passa tanto per il cercare di stare nei canoni del noir, quanto piuttosto nel definire in qualche modo un «mio genere» che sì, è spesso un ibrido. In effetti, i miei romanzi non seguono le norme del romanzo poliziesco «puro». Nella serie inaugurata con Il porto segreto, ogni storia rende omaggio a un diverso genere di mistero: il gotico, la «stanza chiusa», il thriller, il «noir domestico». Così, in questo caso direi che siamo vicini al giallo storico e a quello scientifico. Come dicevo, la Storia mi ha sempre affascinato e così nel 2020 ho anche scritto un vero e proprio testo storico (con crimini e misteri, ovviamente!) che si intitola El bosque de los cuatro vientos.

Con la serie inaugurata da «Il porto segreto» ha contribuito a spostare l’epicentro della novela negra spagnola da grandi città come Madrid o Barcellona a luoghi a prima vista tranquilli come la costa della Cantabria o le campagne dell’interno. Cerca di far emergere l’«envers du décor» come dicono i francesi, ciò che si nasconde sotto la superficie delle cose?
Le zone rurali non sono necessariamente silenziose e idilliache: il male si nasconde ovunque. La letteratura noir che si è focalizzata maggiormente sugli ambienti urbani rispondeva ad un certo modello del romanzo poliziesco classico, pensiamo alla Los Angeles di Raymond Chandler. Anche se, come è noto, non è un clima che ha ispirato tutti. Ad altri autori, come Agatha Christie su tutti, non dispiaceva mettere in scena misteri e crimini in piacevoli case di campagna vittoriane. Penso che ogni scrittore e scrittrice descriva meglio ciò che conosce: e così anch’io ho immaginato uno scenario guardandomi attorno. E non si tratta solo dell’ambientazione, ma anche dei personaggi, a partire dall’«assassino». Nei miei romanzi, fino ad ora solo in un caso si è trattato di uno psicopatico. Nel resto delle storie, «il cattivo» è una persona normale che ad un certo punto «qualcosa» (come forse potrebbe accadere a tutti noi) spinge ad uccidere.

Al centro delle sue storie c’è la tenente della Omicidi della Guardia Civil Valentina Redondo: una figura che deve a sua volta qualcosa ad un’altra celebre scrittrice di noir spagnola: come ha costruito questo personaggio?
È vero, Valentina deve il suo cognome a Dolores Redondo – autrice della Trilogia del Baztán -, anche se il riferimento non è letterario, ma personale. Avevo già scritto la prima storia della serie, ma era ancora solo un file sul mio computer, quando un giorno la vidi in televisione: la stavano intervistando a proposito del suo primo romanzo e lei spiegava come non appartenesse al mondo dell’editoria, del giornalismo o dell’Accademia. Proprio il fatto che fosse arrivata a pubblicare un romanzo di successo senza essere- «qualcuno» catturò la mia attenzione. Mi sono chiesta: forse potrei farlo anch’io? Magari ci sarei arrivata lo stesso, ma ascoltando Dolores Redondo quel giorno, ho preso la decisione. Ecco perché il personaggio di Valentina ha il suo stesso cognome. Ma c’è dell’altro… Valentina rappresenta in qualche modo un dualismo: in lei convivono il perfezionismo nel lavoro e l’insicurezza nella vita privata, inoltre è impegnata nella continua ricerca di capire cosa ci fa in questo mondo. Fisicamente, il fatto che abbia un occhio di un colore diverso dall’altro simboleggia questa dualità, questo doppio passo della sua esistenza. Anche se penso che in fondo funzioniamo un po’ tutti così.