A Sochi venerdì l’attenzione della stampa era rivolta alla durata del vertice tra il capo del Cremlino, Vladimir Putin, e il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, all’intensità degli sguardi di fronte ai fotografi e alla postura durante la stretta di mano.

Questioni più concrete sembrano averle affrontate i tecnici che hanno seguito l’incontro, il secondo nell’ultimo mese dopo quello non proprio caloroso di metà luglio a Teheran: per i russi il vicepremier Aleksander Novak e la governatrice della Banca centrale, Elvira Nabiullina; per i turchi il ministro del Commercio, Mehmet Mus, e il governatore Sahap Kavcioglu. Erdogan ha detto ieri di aver proposto nuovamente a Putin un incontro con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky.

POI HA FATTO sapere che cinque banche turche sono al lavoro per agganciare il circuito telematico Mir, che la Russia ha introdotto nel 2017 e che da alcuni mesi regola tutte le transazioni compiute nel paese con carte di debito e di credito.

L’operazione, una volta completata, aprirebbe ai russi un enorme canale finanziario a poco più di cinque mesi dalle sanzioni con cui l’Unione europea e gli Stati uniti intendevano isolarli.

Erdogan ha anche dato il via libera al pagamento in rubli di una parte del gas che la Turchia riceve quotidianamente attraverso TurkStream, la cui capacità supera i 30 miliardi di metri cubi all’anno. Putin ha imposto a marzo la stessa modalità ai paesi considerati ostili.

Diversi governi europei, compresi quelli di Italia e Germania, hanno deciso di accettarla. Quella che allora sembrava solo una risposta aggressiva alle misure economiche approvate a Washington e Bruxelles per la guerra in Ucraina, oggi è una procedura fondamentale per i russi.

AL PUNTO da entrare negli scambi con la Turchia, il solo paese della Nato con cui il Cremlino abbia mantenuto la normalità sul piano diplomatico. Il meccanismo è semplice. Alle società straniere che acquistano gas russo è chiesto di avere due conti presso GazpromBank.

Nel primo depositano i pagamenti in euro o dollari. Nel secondo vedono la somma convertita in rubli da GazpromBank ai tassi stabiliti dalla Banca centrale. Il sistema lo ha ideato Maxim Oreshkin, 40 anni, già ministro dello Sviluppo e consigliere economico di Putin, scelto a maggio per guidare il team di esperti che deve gestire le finanze nazionali nel periodo più complesso dal crack di fine anni Novanta.

In un intervento pubblico Oreshkin ha paragonato il dollaro a «una droga usata per creare dipendenza in tutto il pianeta». Sul piano politico la sua opinione sembra molto vicina a quella della governatrice Nabiullina, che proprio la scorsa settimana ha definito «tossico» l’impatto delle valute straniere sull’economia interna. Un linguaggio che Putin certamente gradisce. E che Oreshkin e Nabiullina devono aver ritenuto funzionale per portare a termine il loro mandato.

Sin qui le operazioni monetarie sono state le più efficaci tra quelle usate dalla Russia per affrontare la crisi. Nel 2022 il rublo è la valuta con la performance migliore al mondo, un risultato artificiale che le istituzioni russe sono riuscite a ottenere con misure di emergenza. Il metodo di pagamento del gas è tra i pilastri della strategia.

SIA ORESHKIN sia Nabiullina sanno che l’effetto delle sanzioni prima o poi colpirà con forza il paese. Nabiullina lo ha dichiarato in più di un’occasione. Tutto quel che possono fare è allontanare quel giorno.

Ad aprile la Banca centrale aveva previsto un calo del Pil per l’anno in corso compreso fra l’8 e il 10%. Nelle stime più recenti, pubblicate all’inizio del mese, la contrazione è fissata fra il 4 e il 6%, con l’ipotesi di un ritorno alla crescita a partire dal 2024.

Ci sono settori già piegati dalla mancanza di componenti dovuta al blocco dell’export verso la Russia. Un esempio concreto è quello dei produttori di automobili, a cui il governo ha concesso la possibilità di vendere modelli privi di airbag e abs sino al prossimo febbraio.

Nei primi sette mesi dell’anno il numero di vetture immatricolate è sceso del 60%, il che dipende interamente dalle sanzioni. L’obiettivo di quelle misure non era, tuttavia, mettere in ginocchio l’industria russa dell’auto. Era fermare l’aggressione all’Ucraina. E quella va avanti da più di cinque mesi.