Tra i temi più popolari su Twitter – dove spopolano i virologi della domenica – qualche giorno fa ha fatto capolino il «gayolo delle scimmie». L’omofobia non si è dunque fermata davanti agli appelli delle autorità sanitarie internazionali. L’Oms ora sta pensando di rinominare il vaiolo delle scimmie con una dicitura a prova di strumentalizzazione. La tentazione di considerare il nuovo vaiolo una malattia che riguarda solo la comunità degli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini o Msm – questa la sigla adottata dagli esperti – è forte, se si guardano i numeri ufficiali. Alla categoria Msm dichiara di appartenere il 98% dei 25 mila casi ufficiali in Europa e Usa. Molti governi, Italia compresa, concentreranno su questa categoria le campagne di prevenzione, anche perché le dosi di vaccini e antivirali scarseggiano. Eppure, la scienza suggerisce di resistere a facili conclusioni, perché sul vaiolo delle scimmie permangono molte incognite.

L’EPIDEMIOLOGA italiana Vittoria Colizza è dirigente di ricerca all’Inserm di Parigi ed è stata la principale consulente del governo francese durante l’emergenza Covid-19. Oggi fa parte del comitato d’emergenza istituito dall’Oms per far fronte alla nuova pandemia. «Al momento – spiega al manifesto – il virus ha trovato una nicchia di popolazione, gli Msm, in cui diffondersi. I dati indicano una diffusione efficiente e sostenuta in questa popolazione. Molto probabilmente è dovuta alla grande eterogeneità nel numero di contatti di questa popolazione, che favorisce la diffusione epidemica». E fuori dalla nicchia? «Ci sono stati pochi casi secondari riportati nella popolazione non-Msm, come ad esempio bambini e donne, con trasmissioni tipicamente all’interno del nucleo familiare. Ma non si è osservato finora una trasmissione sostenuta».

Rimane però il dubbio su quanto i casi ufficiali rappresentino la popolazione realmente infetta. «Sicuramente non riusciamo a vedere tutta l’epidemia», prosegue Colizza. «Anche limitandoci alla popolazione Msm, è molto difficile ricostruire il percorso dell’infezione a causa di contatti sessuali spesso anonimi. Questo complica il contact tracing, la prima arma messa in campo per contrastare la diffusione». Sebbene la malattia sia nota dagli anni ‘70 questo focolaio presenta aspetti inediti: «L’infezione si caratterizza per una sintomatologia non identica a quella finora conosciuta nelle zone endemiche. Ci sono casi con poche pustole, localizzate in zone vicine ai genitali e difficili da individuare. E si registrano casi asintomatici».

A complicare il quadro, le proporzioni tra uomini e donne non sono ovunque le stesse. Giovedì l’epidemiologo Otim Patrick Ramadan della sezione africana dell’Oms ha spiegato durante una conferenza stampa a Johannesburg (Sudafrica) che nei 350 casi africani confermati le donne rappresentano il 40% dei casi. In Europa e negli Usa, l’enfasi sulla trasmissione omosessuale potrebbe aver indotto a trascurare i casi slegati dalla comunità Lgbtq sbilanciando le percentuali.

RIDURRE IL VAIOLO a una malattia degli omosessuali, oltre che prematuro, rischia di rivelarsi dannoso per tutti. Lo stesso errore fu fatto negli anni ‘80, nei primi anni dell’Aids. Oggi, in molti paesi i casi di sieropositività da Hiv tra donne e uomini eterosessuali superano quelli rilevato nella comunità Lgbtq. Eppure l’Aids fu inizialmente considerata una malattia per soli gay. A causa di questo pregiudizio carico di moralismo, gli studi sulla natura e sulla trasmissione dell’Hiv partirono in ritardo, e l’impatto della malattia ne fu amplificato.

ANCHE OGGI SI RISCHIA di trascurare la prevenzione in alcune categorie vulnerabili. Tradizionalmente, gli orthopox virus (la famiglia di virus a cui appartengono il vaiolo umano e il vaiolo delle scimmie) sono pericolosi soprattutto nei bambini, nelle donne in gravidanza e nelle persone immunocompromesse. Se il virus si diffondesse in queste popolazioni, l’attuale quadro rassicurante sulla malattia (i decessi sono stati una decina in tutto) potrebbe cambiare. Ma concentrando la risposta sui soli Msm donne, bambini e persone fragili potrebbero rimanere escluse dai programmi di prevenzione.

Non è detto, peraltro, che per proteggere donne gravide e bambini dal vaiolo si debba ricorrere alla vaccinazione. Il vaccino MVA-BN, l’unico autorizzato dall’Agenzia europea del farmaco contro il vaiolo delle scimmie, non è mai stato testato sui minori dunque non se ne conosce il profilo di sicurezza. Scarseggiano i dati anche sulle donne in gravidanza, per le quali il vaccino è «sconsigliato». «Bisogna avvertire i pediatri su cosa fare» dice Salvo Fedele, pediatra a Palermo. «Dire con precisione se abbiamo vaccini a sufficienza per proteggere i contatti dei casi indice e se l’offerta vaccinale sarà estesa off-label anche a i bimbi». Significherebbe ammettere che il virus non si trasmette solo per via omosessuale.

LE EPIDEMIE rappresentano da sempre una prova per le democrazie e il nuovo virus non fa eccezione. Negare che gli Msm siano l’unica categoria a rischio, visti i numeri attuali, potrebbe sembrare una pruderie «politicamente corretta». O un «atteggiamento ideologico», come ha detto Matteo Bassetti, infettivologo di dichiarate simpatie destrorse. D’altra parte, il corollario di questa tesi è che i regimi illiberali, meno attenti alle discriminazioni, si rivelino più adatti a rispondere alle emergenze sanitarie – lo si è pensato a lungo della Cina. In realtà il passato, dall’Hiv al Covid-19, insegna il contrario: la coercizione dei diritti finisce per ostacolare la risposta alle epidemie, perché induce sfiducia e scoraggia le persone dal rivolgersi alle strutture sanitarie per test, cure o vaccini. Amplificando il rischio per tutti.