Lo storico ribaltone nella campagna presidenziale americana ha ufficializzato ciò che era diventato inevitabile una sera di giugno di quasi un mese fa, quando milioni di americani hanno seguito allibiti la peggiore performance del presidente sui cui da tempo gravavano interrogativi di competenza. Da quel catastrofico dibattito con Donald Trump, per Joe Biden è iniziato il conto alla rovescia nella crescente consapevolezza che i suoi giorni erano contati.

Nelle 48 ore intercorse dall’annuncio di Biden, vi sono stati un paio almeno di sviluppi positivi per il partito democratico che ha appena attraversato uno dei peggiori mesi della sua storia. Intanto i forzieri della piattaforma di fundraising Act Blue hanno incassato un record di 90 milioni di dollari in donazioni a nome della candidata in pectore. E da due giorni si succedono gli endorsement di politici democratici che hanno confermato il proprio sostegno alla vicepresidente.

È il segno di una ricompattazione rapida del partito attorno all’ipotesi Harris, dopo lunghe settimane di incertezza che dietro le quinte avevano esacerbato le tensioni ed i dissapori interni. Degno di particolare nota è l’allineamento dell’ala sinistra (Ocasio Cortez) e del Black Caucus. I politici afro americani, paradossalmente, erano infatti stati i più veementi nel contrastare il passo indietro di Biden a favore della vice. Ora saranno i principali difensori della Harris contro ipotesi di altri possibili candidati.

LA “SUCCESSIONE” è la fase forse più delicata per il partito e dovrà riuscire con il massimo di rapidità e continuità, coinvolgendo per quanto possibile la base ed evitando l’apparenza di un’incoronazione decisa a tavolino. Un compito che solitamente è assolto da un processo di primarie che dura molti mesi, ma che dovrà venire compresso in pochi giorni, preferibilmente prima della convention di Chicago in programma fra meno di un mese.

La transizione a Kamala Harris ha senso per molti motivi, principalmente quello che la vicepresidente è comunque una titolare della campagna Biden-Harris, un mastodontico meccanismo avviato ormai da oltre un anno con tutti crismi legali, l’organico, la struttura, critica, per il fund raising oltre ad un team politico che potrebbe continuare con una misura di continuità. Ripartire da zero a meno di tre mesi dalle elezioni sarebbe improponibile da un punto di vista pratico, oltreché rischioso da quello politico, dato che primarie effettivamente aperte potrebbero scatenare una distruttiva lotta intestina alla soglia delle elezioni.

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L’ipotesi più realistica è che il partito si unifichi dietro al nome di Harris e si concentri sulla selezione di un/una candidato/a vicepresidente che si preannuncia oltremodo cruciale per tentare di ricostituire una coalizione vincente che l’incertezza su Biden aveva sfilacciato. Sul potenziale nuovo numero 2 si è già inevitabilmente aperta la girandola delle speculazioni. Non sorprende che molti, come Gretchen Whitmer (Michigan), JB Pritzker (illinois), Josh Shapiro (Pennsylvania) oltre al ministro dei trasporti Pete Buttigieg (Indiana), siano legati al Midwest e alla rust belt deindustrilazzata che è la geografia in cui si potrebbe decidere l’elezione. Qualunque sia, la scelta dovrà comunque essere fatta nell’ottica di ricostituire una coalizione operativa come quelle che portarono alla vittoria Obama e Biden nel 2020 col sostegno di donne, giovani, minoranze e l’ala progressista del partito.

LE ELETTRICI sono un blocco particolarmente motivato, grazie soprattutto alla rabbia diffusa per l’abrogazione del diritto ad abortire da parte della Corte suprema trumpiana. La buona notizia per i Dem è che Kamala Harris è stata principale delegata alla difesa dell’aborto per l’amministrazione Biden, mentre su questa materia i repubblicani sono invece assai vulnerabili, specie dopo l’aggiunta al ticket dell’antiabortista JD Vance. Anche sui giovani l’addio di Biden dovrebbe giovare, iniettando nuovo interesse, e potenzialmente entusiasmo, in un’elezione che si giocherà in gran parte sull’apatia.

Ogni sondaggio aveva finora confermato la disaffezione, soprattutto fra i giovani, fra due alternative “speculari” dal punto di vista dell’età. Il passo indietro di Biden ha di un sol colpo modificato radicalmente questa dinamica, lasciando sul campo un solo “anziano uomo bianco” (la cui età, come ha rimarcato qualcuno, accanto alla cinquantanovenne Harris, sembra essere di colpo raddoppiata). Sembra poco ma anche il solo “contropiede” anagrafico potrebbe iniettare molto entusiasmo in una campagna che finora era sembrata una via crucis.

È SIGNIFICATIVA in questo senso la reazione GOP. Da qualche giorno il presidente integralista Mike Johnson aveva avvertito che una sostituzione sarebbe stata «poco democratica». Ieri sulla Fox Stephen Miller, ministro trumpiano per le deportazioni, si lamentava che «non era giusto che avessero fatto spendere milioni in campagna anti Biden per cambiare a sorpresa». E su Truth Social lo stesso Trump era solo in parte faceto nel chiedere un «rimborso danni» per i soldi spesi fin qui.

Sono le prime piccole indicazioni del tenore degli attacchi a venire – ed è impossibile sottovalutare la capacità di Trump di veicolare le infinite scorte nazionali di bigottismo di pancia, nel modo più razzista e misogino contro l’avversaria che in un fuori onda dal campo di golf ha già definito «so pathetic, so fucking bad». Ma vi è il senso che con le carte ora scoperte possa infine iniziare una contesa che nessuno avrebbe pianificato in questo modo ma che ha la possibilità di galvanizzare le truppe.

Le prime indicazioni insomma sono positive per una campagna rivitalizzata e forse fuori dal purgatorio. La strada certo è ancora lunga e i rischi molteplici, ma la partita è ben chiara. E i democratici riusciranno a far tesoro del senso di urgenza, e di emergenza, il traguardo potrebbe essere a portata di mano.