Molto mediatizzato il caso di Khaled Drareni, giornalista corrispondente per il canale francese TV5Monde e per l’ong Reporters Sans Frontières sta avendo una vasta eco anche al di fuori dell’Algeria, a tal punto che lo stesso presidente Abdelmajid Tebboune ha fatto riferimento al giornalista durante una recente intervista alla televisione nazionale.

KHALED DRARENI è stato arrestato il 7 marzo mentre seguiva una marcia popolare ad Algeri del movimento di protesta Hirak – prima che tutte le manifestazioni fossero sospese nel paese a causa della pandemia da Covid-19 – con l’accusa di «incitamento all’assemblea disarmata» e «attacco all’integrità del territorio nazionale». La sua unica colpa è quella di aver «documentato e seguito il movimento Hirak, come giornalista indipendente», come affermano i suoi avvocati.

Il 10 agosto, il tribunale di Sidi Mhamed ha condannato Drareni a tre anni di carcere, diventati poi 4 nell’appello che si è tenuto martedì davanti al tribunale di Algeri. Il verdetto ha scatenato un grande movimento di solidarietà all’interno del Paese e all’estero (#Freekhaled) con una petizione che in meno di 24 ore ha raccolto oltre 2mila firme tra cui quelle di numerosi esponenti politici dell’opposizione algerina, della società civile, di diverse ong internazionali e più di 300 tra giornalisti ed editori.

Il presidente di Reporters Sans Frontières, Christophe Deloire, denuncia quella che viene considerata una «persecuzione giudiziaria e una vera repressione della libertà di stampa nel paese, con una sentenza politica». «L’Ordine dei giornalisti considera intollerabile la detenzione di Drareni – ha dichiarato Amar Belho Uchet, giornalista ed ex direttore del quotidiano El Watan -. Il suo posto non è in prigione, ma nella redazione di un giornale a fare il suo lavoro».

NUMEROSE LE MANIFESTAZIONI di protesta, nella capitale e all’estero, che chiedono la liberazione del giornalista. In un comunicato stampa le forze del Patto per l’alternativa democratica (Pad) – sigla che raggruppa i principali partiti e movimenti di opposizione come L’Unione per la cultura e la democrazia (Rcd), il Partito dei lavoratori (Pt), il Fronte forze socialiste (Ffs) e la Lega algerina per la difesa dei diritti civili (Laddh) – ha dichiarato che « il persistere di arresti e pesanti condanne di attivisti e giornalisti criminalizzano il libero pensiero politico e di espressione e mirano a soffocare ogni voce dissenziente all’interno di un apparato di potere che cerca disperatamente di restare alla guida del paese».

Questa repressione si colloca in un contesto pre-elettorale con l’avvicinarsi di un referendum sulla revisione della Costituzione previsto per il 1° novembre. Un testo considerato «imposto dal regime senza una reale partecipazione politica e civile – ha affermato la segretaria generale del Pt, Louisa Hanoune – che non soddisfa le aspirazioni dell’Hirak, perché mantiene un sistema iper-presidenziale a danno dell’autonomia del potere giudiziario».

UN CAMPANELLO D’ALLARME lanciato anche da Rsf e da Amnesty International secondo i quali lo scopo della pressione sulla stampa è quello «di intimidire i media» nelle prossime settimane, fino al voto. «A riprova di questo clima di censura – afferma Deloire – c’è il recente taglio dei finanziamenti al quotidiano El Watan, colpevole di aver scritto riguardo al patrimonio illecito dei figli del generale Gaid Salah». Nella classifica mondiale sulla libertà di stampa (compilata da Rsf), l’Algeria è precipitata al 146°(su 180) posto nel mondo.