La questione sociale europea e il tema del cambiamento climatico sono i due temi più sensibili e rilevanti che coinvolgono le cittadinanze d’Europa in questo “tempo sospeso” della pandemia globale, mentre i governi nazionali faticano a trovare politiche pubbliche all’altezza della situazione. E le soluzioni, per pensare la società europea oltre il CoViD-19, si trovano in misure necessarie e radicali da introdurre in modo uniforme nel vecchio Continente: un reddito di base universale, con un connesso livello salariale minimo obbligatorio, quindi interventi governativi congiunti per realizzare l’obiettivo di emissioni zero in Europa nel 2030. Sembra il programma di base per una fuoriuscita positiva della pandemia: sicurezza sociale e giustizia climatica per ripensare da cima a fondo il vecchio Continente, poggiando su nuove istituzioni di protezione sociale – il reddito di base – tutela della dignità della persona al lavoro – salario minimo – ripensamento ecologico dell’intero Continente e del pianeta Terra.

Storie dall’Europa in crisi
Queste sono alcune delle risposte largamente condivise in un’assai interessante ricerca che ha coinvolto 12 mila cittadini, tra i 16 e i 69 anni, dei 27 Stati membri dell’Unione europea e del Regno Unito (l’oramai ex-UE a 28 Stati), consultati tra il 5 e il 25 marzo 2020, quindi nella fase iniziale di incertezza e insicurezza dinanzi alle prime misure di lockdown per arginare la pandemia. Si tratta dell’inchiesta presentata lo scorso 6 maggio con l’inequivocabile titolo In Crisis European Support Radical Positions coordinata da Timothy Garton Ash, professore di European Studies all’Università di Oxford, autore di volumi sul 1989 europeo e sull’Europa orientale ed editorialista, e dalla ricercatrice Antonia Zimmermann, membro del gruppo di ricerca del gran bel programma Europe’s Stories, diretto dallo stesso Timothy Garton Ash (all’interno del Dahrendorf Programme for the Study of Freedom, dello European Studies Centre, del St. Anthony’s College dell’Università di Oxford) e che costituisce il progetto principale dal quale scaturisce questa inchiesta, che si è ulteriormente avvalsa di eupinions, piattaforma di sondaggi e consultazioni dell’opinione pubblica europea. Questa l’ampia rete di studiose e studiosi che prova a mettere in connessione passato, presente e futuro del vecchio Continente, riflettendo collettivamente su momenti, storie e opinioni del controverso e irriducibile immaginario europeo, indagandolo anche cronologicamente, dalla seconda guerra mondiale e dai processi di decolonizzazione, fino all’attuale crisi sanitaria e sociale.

Reddito di base e salario minimo
Così potremmo dire che questa indagine è forse la prima consultazione in presa diretta dell’opinione pubblica europea al tempo della pandemia da CoViD-19, che induce a “pensare ciò che prima era considerato impensabile” per questo la ricerca è tutta da leggere e commentare. Qui ci si limita ad osservare che il 71% dei 12 mila europei ed europee consultate, senza particolari distinzioni tra le diverse fasce di età (così articolate: 16-29, 30-49, 50-69), si dichiara favorevole all’introduzione di un reddito di base per tutti i cittadini europei, un vero e proprio Universal Basic Income inteso come strumento di sicurezza sociale universale per proteggere gli individui dagli effetti economici della crisi sanitaria, ma anche dai cambiamenti dei sistemi di produzione e lavoro, nell’economia digitale e automatizzata.

Più di due terzi degli intervistati si dichiara quindi favorevole ad una misura di protezione universale come un reddito di base individuale, che è ancora percepito da ampi settori delle classi dirigenti e forze politiche come una misura utopistica, come notano gli stessi curatori della ricerca. Mentre sembra incontrare sempre più consenso nelle diverse opinioni pubbliche, come testimonia il fatto che, nello stesso mese di marzo, alla Commissione che si occupa di petizioni popolari del Bundestag è stata presentata una proposta di legge per un reddito di base sottoscritta da quasi mezzo milione di cittadini tedeschi. Siamo perciò dinanzi a una possibile grande sfida per il dialogo tra porzioni di opinione pubblica e classi dirigenti in Europa, proprio a partire dalla questione sociale continentale. L’84% degli intervistati è infatti favorevole anche all’introduzione di un minimo salariale obbligatorio e vincolante per evitare i ricatti del lavoro povero, con una frattura generazionale tra i più giovani, maggiormente ottimistici sul futuro del lavoro, rispetto ai più anziani, più amaramente pessimisti.

Sul versante della questione climatica, il 53% dei giovani europei consultati (tra i 16 e i 29 anni) ritengono che gli Stati autoritari siano meglio equipaggiati delle democrazie per affrontare la crisi climatica, evidenziando anche in questa risposta una frattura generazionale, soprattutto con la fascia dei 50-69enni (quindi nati tra i primi anni Quaranta e la fine degli anni Sessanta del Novecento) che solo al 35% concorda con tale affermazione, probabilmente avendo ancora memoria diretta degli effetti prodotti dalle dittature in Portogallo, Spagna e Grecia, protrattesi fino agli anni Settanta del Novecento.

Alla ricerca di una concreta solidarietà continentale?
D’altro canto, il tema della memoria storica, del presente e del futuro del continente europeo è al centro dell’intero progetto di ricerca, al punto che una sezione del sito è aperta alla partecipazione diretta delle cittadine e cittadini d’Europa che possono inviare la propria storia (Your Story) contribuendo così all’elaborazione di un archivio comune di narrazioni individuali sulle diverse sensibilità europee, tanto più in questo così tragico e terribile periodo.

E in questi stessi giorni anche il Centro Studi Europei dell’Università degli studi di Salerno, diretto da Massimo Pendenza, Professore di Sociologia dell’Europa nella stessa università, sta promuovendo un’indagine online (alla quale si può accedere qui) sulle conseguenze sociali dell’emergenza Covid-19, con particolare attenzione riguardo agli atteggiamenti dei cittadini italiani nei confronti delle istituzioni europee e degli altri Paesi d’Europa, provando ad interrogarsi anche sulle diverse gradazioni e opzioni di solidarietà continentale.

Perché, ancor più dinanzi agli effetti sociali, economici, relazionali dell’emergenza CoViD-19 in Europa e nel mondo, la questione del livello di solidarietà e fiducia continentale tra cittadinanze, istituzioni euro-unitarie e Stati membri rimane come un interrogativo ancora senza risposte all’altezza. Quando sarebbe invece necessario fondare, per dirla con Ulrike Guérot e Lorenzo Marsili, una Repubblica europea di reciproco sostegno, pari diritti e doveri di solidarietà continentale, una vera e propria Repubblica europea della solidarietà collettiva, come ci capitò di scrivere oramai un anno fa.

Con questa certo piccola porzione di opinione pubblica europea di 12 mila persone capace di indicare nel nesso protezione/sicurezza sociale e giustizia climatica il cuore di una possibile agenda comune continentale che le diverse classi dirigenti nazionali e quella euro-unitaria fanno troppa fatica ad immaginare, chiuse nel piccolo cabotaggio di reciproche diffidenze e pregiudizi e nell’odioso opportunismo di fomentare i peggiori risentimenti e rancori nazionalistici e xenofobi.

E con la non recondita speranza, da parte di chi scrive queste note, che l’attivismo di questi network di ricercatori e studiosi, di opinione pubblica attiva, di frammenti di società che si organizzano nella temperie della pandemia possano essere di stimolo per uscire dal trauma collettivo che stiamo vivendo con maggiore giustizia sociale e protezione reciproca, a partire da queste proposte, certo in parte inedite, ma sicuramente concrete e necessarie.

* Socio fondatore di Basic Income Network Italia e autore del libro Il reddito di base nell’era digitale