Sono tre le soluzioni sul tavolo dell’Eurogruppo che inizia oggi in videoconferenza alle 15. Il meccanismo europeo di stabilità (Mes, «Fondo salva stati») con una sola «condizione” legata all’uso dei fondi per l’emergenza sanitaria-economica, a disposizione ci sono 240 miliardi su 410; 200 miliardi in bond che potrebbero essere emessi dalla Banca europea degli investimenti (BeI), di cui 40 alle Piccole e medie imprese; il fondo «Sure» («Sicuro») per finanziare le casse integrazioni con 100 miliardi di euro. Si può arrivare al coordinamento tra queste ipotesi scadenzate su tempi diversi. L’esito di oggi non sarà risolutivo. Si attende un altro consiglio europeo tra i capi di governo dopo pasqua. Ieri Charles Michel (Consiglio europeo) e Von Der Leyen (Commissione Ue) hanno invitato a usare «tutti gli strumenti esistenti».

PER ORA è stata esclusa l’opzione «coronabond» che ha tenuto fermo lo scontro tra un’idea di mutualizzazione del debito contratto nella crisi da virus e un’altra che mirerebbe a istituzionalizzare per via intergovernativa una politica economica comune europea. È questo il cuore dello scontro tra più di dieci paesi, tra cui Francia, Italia, Spagna, e il fronte del Nord di Olanda, Austria, Finlandia con la Germania nel ruolo di mediatore riluttante. Nel conflitto entra anche il ruolo del «Mes» che resta un problema politico in Italia. Il governo potrebbe accettarlo nella nuova formulazione, sebbene i Cinque Stelle continuino a dichiararsi contrari in ogni caso. Il commissario Ue all’economia Paolo Gentiloni, non estraneo ai rapporti con Roma, ieri ha detto: «Se raggiungiamo un buon accordo sulla condizionalità è uno degli strumenti che dovremmo usare». Il ministro tedesco delle finanze Olaf Scholz si è detto «fiducioso» sulla possibilità di una «decisione comune» all’Eurogruppo. Nell’accordo rientrerebbe un uso differente del «Mes» in versione «light», ovvero senza l’intervento della «troika» sul modello greco. Si ribadisce che, a differenza del 2012, la crisi attuale è diversa da quella dei «debiti sovrani». Colpisce tutti, in maniera diversa, non uno Stato a cui fare scontare le «colpe» da cattivo amministratore. Decisiva è l’idea che il «virus» è un fattore «esogeno», non un momento di verità di un sistema che affronta crisi periodiche sempre più violente. In questa rappresentazione si usa il virus per ottenere una modifica importante delle politiche Ue, impossibile da realizzare con gli strumenti ordinari della politica.

NEL REBUS ieri è spuntata una quarta ipotesi. Gentiloni, con il commissario francese all’industria Thierry Breton ha proposto l’istituzione di un fondo europeo che emette obbligazioni a lungo termine circoscritte agli investimenti per il rilancio «industriale». Gentiloni e Breton hanno dettagliato questa stima sulla base della manovra anti-virus fatta dal governo tedesco: emissioni da 356 miliardi di euro che si aggiungono ai 600 miliardi, di cui 400 di sole garanzie. È il 10% del prodotto interno lordo di questo paese. La stessa percentuale è stata calcolata sul precedente bilancio europeo, nei fatti anticipando quello del 2021-2027 bloccato dai veti incrociati dei governi. Si tratta di 1.500-1.600 miliardi di euro in obbligazioni a lungo termine da dividere tra paesi membri. Il fondo sarebbe l’interfaccia della politica monetaria della Banca centrale europea (Bce) pari a un totale di 1100 miliardi di euro entro il 2020, rinnovabili. La proposta ricorda quella del ministro francese delle finanze Bruno LeMaire, liberista che di recente si è scoperto statalista e nazionalizzatore. Non andrà sul tavolo dell’Eurogruppo, ma su quello con i governi nel Consiglio Europeo e, se avrà gambe, dovrà camminare a lungo nel prossimo anno. La presidente Von Der Leyen ha fatto sapere che la Commissione Ue «non ha una posizione» sulla proposta dei suoi commissari, sebbene faccia il verso alla sua abusata metafora postbellica di un «piano Marshall» da 2.760 miliardi. È un gioco delle parti in un risiko tra governi e sulla scacchiera geopolitica tra blocchi.

I FANTASTILIARDI dimostrano che l’Ue esiste nello scontro, con Cina, Russia e Stati Uniti sulla «ripresa». In questa caotica diplomazia economica si punta a mostrarsi vicini alle popolazioni. Non è chiaro chi pagherà i costi della crisi. È una domanda da porsi subito. La risposta potrebbe non essere piacevole.