In uno dei maggiori saggi di Franco Fortini, Verifica dei poteri (1965), si contiene la recensione di nove anni prima a Mimesis, lo studio che un maestro della filologia, l’ebreo tedesco Erich Auerbach esule a Istanbul, aveva dedicato in tempo di guerra alla nozione di realismo nella letteratura occidentale: lì, nel capitolo centrale sul X Canto dell’Inferno dove Farinata e Cavalcante interpellano Dante tra le arche roventi degli eretici e degli atei, Auerbach individua il concetto di «realismo figurale» distinguendolo da quello della comune allegoria perché se l’allegoria medievale corrisponde a una schematica astrazione, la figura dantesca riesce viceversa a tenere insieme il reale e l’ideale, il concreto e l’astratto, il relativo e l’assoluto, nel qual caso il transitorio e l’eterno: in altre parole, il Farinata magnanimo ed ex stratega ghibellino può condurre all’estremo le sue caratteristiche umane (la fierezza, la superbia, la coerenza nell’errore) senza vedersele rimosse o rinnegate neanche all’Inferno ma, anzi, condotte a una formulazione piena e paradigmatica.

Tutt’altro che indulgente nei riguardi di Mimesis, il poeta Fortini, che è ostile sia alla eredità simbolista della poesia secolare sia a quella avanguardistica, riceve il concetto dantesco di figura iscrivendolo dentro una costellazione intellettuale le cui stelle fisse per lui sono da sempre le Sacre Scritture e i classici del pensiero dialettico. Fortini non sente la poesia quale pura espressione di un sentimento o di un pensiero ma piuttosto come una esperienza complessa e capace di integrarli, mentre il suo fine è prefigurare una verità, parola consapevolmente temeraria: se infatti la vita quotidiana degli esseri umani è caratterizzata dalla parzialità e dalla impossibilità di dare una forma definita alla propria vita (per i limiti imposti volta a volta dalla natura e dalla condizione sociale), è invece privilegio dell’opera d’arte e della poesia in particolare poter riscattare quella parzialità nella totalità e, perciò, nella compiutezza di una forma grazie alla quale (in un emblema che richiama la procedura dantesca) la vita assume un senso, una sua precisa destinazione. E a chi gli obiettava di proiettare nella poesia l’immagine del comunismo Fortini rispondeva che, al contrario, essa ne costituisce la anticipazione figurale.

Questo è il caso, contenuto in Paesaggio con serpente (1984), della poesia Raniero dedicata a Raniero Panzieri (1921-1964), un suo grande compagno di via. Il testo, di appena quattordici versi divisi in due strofe, gli si rivolge nei modi tanto di una allocuzione quanto di una meditazione in morte, citando in apertura la rivista di Panzieri, fondativa della Nuova Sinistra italiana (al v. 1, «Ancora un saggio su Quaderni rossi») e formulando retrospettivamente la domanda sul senso complessivo dell’esistenza, breve e straordinaria, di Panzieri medesimo: «Che cosa tu avessi davvero voluto non so. / Quale la distrazione, la deriva. / Che biologia ti costringesse» (vv. 4-6).

Chi pone la domanda, il poeta, afferma di sentirsi smarrito «a metà nel non esistere» (v. 9), mentre subito ipotizza, nella clausola del testo, il fatto che una uguale condizione segna la memoria postuma di Panzieri: «O siamo invece a metà/ nella storia dei corpi gloriosi, vuoi dirmi» (vv. 13-14). Una nota d’autore rammenta che i corpi gloriosi sono gli stessi dell’Epistola ai Romani di san Paolo e di un verso di Dante, «come la carne gloriosa e santa» (Paradiso, XIV, 43). A cosa allude Fortini, anche qui, se non a duplice e drammatica parzialità? Perché il presente del poeta è la condizione deprivata, dimezzata, di chi vive nelle società neocapitalistiche (Fortini scrive nel 1980 e il suo «non esistere» sembra richiamare la «vita offesa» nel sottotitolo dei Minima moralia di Adorno), quando il riflesso spettrale di Raniero Panzieri a sua volta è «a metà», cioè irredento nella accezione giudaico-cristiana, perché il comunismo non è ancora realizzato, vale a dire che è ancora negata ad ognuno la facoltà di dare forma alla propria vita.
Poco prima di morire, nel novembre del ’94, rispondendo a un questionario Fortini scrisse che il comunismo è nient’altro che la lotta per il comunismo e pertanto è il suo tragico percorso che tutti ci sorprende a mezza strada, tra esistenza e utopia: anche quello era un modo di evocare la figura dantesca e il suo stato di permanente necessità.

*

Franco Fortini

Raniero

Ancora un saggio su «Quaderni Rossi».
Da sedici anni nel cimitero di Torino
conosci l’altra parte, l’elegia ti fa ridere.
Che cosa tu avessi davvero voluto non so.
Quale la distrazione, la deriva.
Che biologia ti costringesse. Ti chiamo
per una augusta convenzione.
Ci sono solo io e tutti gli altri
a metà nel non esistere.
Le strida sono immaginarie inanes
cum inani spe o paene extinctae
rerum imagines.
O siamo invece a metà
nella storia dei corpi gloriosi, vuoi dirmi.
(da «Paesaggio con serpente»,
Einaudi 1984)
*
Lo studioso e organizzatore politico socialista Raniero Panzieri morì a quarantatré anni, nel 1964.
Le parole latine equivalgono presso a poco a «vane con la vana speranza o quasi estinte immagini delle cose». I «corpi gloriosi» sono quelli cui parla l’Epistola ai Romani 8,18-25 e il verso 43 del Quattordicesimo del Paradiso («come la carne gloriosa e santa»).