L’ho potuto vedere ancora una volta in ospedale al mattino di sabato,e quella sua immagine già devastata dalla morte che stava arrivando credo mi resterà per sempre nel cuore. All’ultimo, prima che uscissi dalla stanza, è riuscito a sorridermi e così ci siamo lasciati.

Di compagni preziosi purtroppo in questi anni ne abbiamo perduti parecchi, ma Filippo per noi vecchissimi era qualcosa di speciale: compagno di battaglia già dieci anni prima della nascita del Manifesto ma al tempo stesso quasi coetaneo del corpo sessantottino che è poi stato protagonista maggioritario della nostra avventura. Perciò verso di lui la tenerezzza che si ha per i più piccoli. Anche ora che aveva passato gli 80 anni, ma era un ragazzo: nell’aspetto e nel modo di fare.

Filippo, infatti, non appartiene solo alla storia del Manifesto ma anche alla sua preistoria. Anomalo dunque nella nostra mappa generazionale, e però decisivo: dubito che senza di lui saremmo stati capaci di fare una rivista, ancor meno un quotidiano !
PARLO DEL DECENNIO ’60, quando cominciò a delinearsi nel Pci un’analisi della realtà diversa da quella propria alla maggioranza del gruppo dirigente del partito; e, di conseguenza, una diversa linea programmatica. In seguito, quelli che cominciarono a vedersi per discutere e approfondire, vennero chiamati ingraiani, mai una corrente ma solo una condivisione di idee, che la sempre più necessaria esigenza di chiarezza induceva a battersi in favore della legittimità del dissenso. Fino a quando una parte di quelli che la sostenevano si spinse oltre i limiti di quanto era allora consentito nel partito – fare una propria rivista – e fummo radiati.

Io Filippo l’ho conosciuto fin dall’inizio. Era finito nel nostro giro perché era già ai primi del ’60 giovanissimo aiutante di Rossana, nel frattempo nominata da Togliatti responsabile della allora importantissima commissione culturale del Pci. Una collocazione da cui fu allontanato, come noi dai nostri rispettivi incarichi alle Botteghe Oscure, dopo l’XI congresso,1966, quando Ingrao rese esplicito il dissenso. Filippo lasciò Roma e aprì una libreria al Vomero, a Napoli, la sua amatissima città, in cui il padre era stato un dirigente comunista, morto per un infarto durante un comizio quando lui era ancora bambino.
ANCHE IN SEGUITO del Manifesto Filippo fu militante in anticipo, prima che nascesse. Fu infatti nel gruppetto che prese la decisione di pubblicare la rivista, ma fu grazie a lui che la rivista potè venire alla luce. Assieme a Coga, allora poco più che un tipografo, ebbero l’inusitata idea di mandare la pubblicazione anziché nelle librerie come consuetudine, nelle edicole. Cioè in luoghi frequentati anche dai semplici militanti e non solo dagli intellettuali. Fu per questo che il numero di copie venduto sbigottì l’Italia. E fece subito diventare “Il manifesto” un caso politico.

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Determinante fu il ruolo di Filippo anche per il quotidiano, un vero miracolo, per cui negli anni vennero in tanti – Liberation dalla Francia, Die Tag Zeitung dalla Germania i più importanti – a capire come si faceva un giornale di successo, pioniere della modernità tecnologica e giornalistica, pur con i pochissimi soldi raccolti fra i militanti.

E però, sia chiaro, Filippo non è stato solo «l’editore».È stato sempre profondamente interno, e protagonista, del pensiero «manifestino». È facile riscontrarlo nei suoi scritti, pochi ma decisivi: basti pensare all’analisi della composizione sociale del Pci come base per rendere più chiari i mutamenti di linea intervenuti via via, e non certo per il meglio, scritto assieme a Lucio. Con cui ha a lungo vissuto nella Comune di piazza del Grillo, poi diventata anche sede del Manifesto. Un’altra prova di come tanti aspetti delle nostre vite siano state intrecciati .

Non solo: fu per merito e iniziativa di Filippo che nel 1999 venne alla luce una seconda rivista, quella chiamata “La rivista del manifesto”, collegata al quotidiano. Durò quasi 5 anni e vale ancor oggi la pena di rileggerla. Fu diretta da Lucio, ma ebbe un valore politico speciale: nel suo comitato editoriale si ritrovò tutto il vecchio gruppo ingraiano, Ingrao stesso e tanti altri, più qualche nuovo venuto,per esempio Bertinotti.
TUTTE QUESTE informazioni sul Manifesto le trovate nel lungo articolo che Filippo scrisse per il 50° anniversario del quotidiano e che qui ripubblichiamo. Non so perché le sto ripetendo. È forse perché mi aiuta a distrarmi dal parlare di Filippo come amico/fratello, che tale per me è stato – così del resto per molti – perché le sue qualità umane lo hanno fatto penetrare dentro noi stessi, la persona sulla cui spalla piangere nel dolore e quella con cui spartire ogni gioia.

Per me così, senza interruzione, per ben 63 anni! Non avrei mai pensato di dover subire la sua perdita, la vecchiaia è dolorosa non solo per i propri acciacchi, ma anche perché, se dura troppo, ti espone alla perdita di chi senti come una parte di te stesso. Vorrei non dover più scrivere necrologi.

Il primo nato del 2023 – dicono le agenzie stampa-– sapete come è stato chiamato? Filippo! Una botta di fiducia nell’avvenire per tutti noi. Penso dovremmo cercare chi è e regalargli un abbonamento per quando sarà più grande.!