Alcune linee di fondo che il governo Meloni intenderà perseguire in politica economica, in particolare su mercato del lavoro e struttura delle imprese, sono agevolmente desumibili dall’analisi del programma elettorale di Fratelli d’Italia. Una delle principali riguarda gli incentivi per l’aumento dell’occupazione.

L’idea di fondo è lo slogan «più assumi, meno paghi», alla base di uno dei primi provvedimenti che verrà varato dal governo. Si tratta di concedere agevolazioni fiscali alle imprese che assumono: in particolare, gli incentivi verranno dati alle imprese che aumentano il rapporto fra numero di dipendenti e fatturato.
Premiare le imprese sulla base di questo indicatore significa ridurre, per legge, la produttività del lavoro per il sistema economico nel suo complesso e, per conseguenza, condannare l’economia italiana alla stagnazione.

Peraltro, non è neppure prevista una qualche forma di incentivazione per la stabilizzazione dei contratti a tempo indeterminato. Non è chiaro se si tratta di un errore intenzionale o non intenzionale, frutto, nel secondo caso, di incompetenza. Ricordiamo che la produttività del lavoro è il rapporto fra la quantità di beni e servizi prodotti e il lavoro, in cui i prezzi (dei beni e servizi) concorrono alla crescita del valore degli stessi e, quindi, del Pil. La Storia (recente) del nostro sistema economico è quella di un Paese che ha (1) rinunciato alla sfida tecnologica (conoscenza), condizionando (2) una coerente e bassa dinamica degli investimenti pari alla mancata disponibilità di conoscenze tecniche per produrre il capitale necessario, a cui segue (3) una domanda di lavoro disallineata ai livelli di formazione che la scuola (pubblica) consegna alle nuove generazioni ed è sempre meno domanda di lavoro qualificato.

Ricordiamo anche che la produttività del lavoro, in Italia, è in caduta libera da circa quaranta anni e che servirebbero semmai, da parte del Governo, interventi di politica industriale e di rifinanziamento della spesa pubblica in ricerca e sviluppo (bassissima, infatti, nel settore privato).

Il provvedimento in esame avrebbe l’effetto, nella migliore delle ipotesi, di assecondare l’attuale modello di sviluppo dell’economia italiana, basato, in larga misura, sulla compressione dei costi in settori a bassa intensità tecnologica. E avrebbe soprattutto l’effetto di salvare imprese inefficienti, altrimenti destinate al fallimento, che otterrebbero soldi pubblici senza alcuno sforzo per l’innovazione. Alternativamente, è possibile ritenere che la misura sia frutto di incompetenza. Questa seconda interpretazione non dovrebbe stupire se si considera l’assoluta incomunicabilità fra ceto politico e «intellettuali», soprattutto se tecnici ed economisti.

Ciò accade sia a Destra, sia a Sinistra, ma è un fenomeno che, nel primo caso, appare molto accentuato, in considerazione della Storia politica italiana recente: l’attuale classe dirigente di Fratelli d’Italia proviene, infatti, da una formazione povera, fatta di esaltazione della violenza (teorizzata e praticata), con incursioni in una letteratura prevalentemente umanistica di matrice ancora crociana e, dunque, di noncuranza del lavoro propriamente scientifico.

Colpisce poi la contraddizione lampante fra «più assumi, meno paghi» e quanto teorizzato da Mario Draghi (con il quale, per quanto si sa, esisterebbero a Destra ottimi rapporti): in un articolo del 2020, Draghi ha infatti proposto un intervento di segno esattamente contrario, finalizzato, cioè, a premiare le imprese più efficienti e a lasciar fallire qualche meno efficienti, definite zombie.

I prossimi anni saranno decisivi per l’economia nazionale. La narrazione della destra e della sinistra sono insufficienti per disegnare il ruolo economico del Paese nel consesso internazionale. Sia la politica come i cosìddetti intellettuali vivono in una sorta di torre (dorata?). È tempo della ricerca, dell’analisi e della politica: nessuno si senta estraneo, perché comunque siamo tutti coinvolti.

* Professore di Economia Politica Università del Salento
** economista