Un sistema di istruzione basato su 21 classi differenziali, dove segregare personale e studenti poveri e meridionali. L’autonomia differenziata, reliquia della Lega portata pervicacemente avanti da Roberto Calderoli nel governo più di destra della storia democratica italiana, è la tumulazione della scuola costituzionale così come l’abbiamo conosciuta. A preparare il terreno è stato un altro ministro leghista, quello all’Istruzione (e merito) Giuseppe Valditara, che nell’ultimo anno ha varato una serie di provvedimenti che puntano a «valorizzare i meriti», secondo la propaganda del governo ma che in realtà puntano a selezionare e sfoltire l’accesso all’istruzione.

DALLA RIFORMA della filiera tecnico professionale in senso aziendalista con i corsi di 4 anni, all’orientamento fin dalla primaria, ai test Invalsi per l’ammissione alla maturità. Poi ci sono le cose annunciate, anche per vedere l’effetto che fanno, come le «classi di accompagnamento» per i bambini con background migratorio e le gabbie salariali per gli insegnanti, che nella neolingua della destra si chiamano «incentivi». Anche ieri il ministro dell’Istruzione è tornato sull’argomento: «Federalismo scolastico vuol dire anzitutto che le Regioni devono avere un ruolo importante nella costruzione dell’offerta formativa, aspetto che abbiamo già iniziato a valorizzare con la riforma dell’istruzione tecnico-professionale», ha detto Valditara a Radio Libertà (già Radio Padania Libera). Per poi aggiungere: «Molti docenti preferiscono rimanere precari nel Sud piuttosto che trasferirsi di ruolo al Nord». Problema su cui si dovrebbe intervenire con «incentivi per trasporti, casa, mobilità».

IL TEMA DEL PRESUNTO spopolamento delle scuole del nord è ricorrente in Valditara così come lo slogan che va ripetendo per la sua riforma dell’istruzione tecnica: «Abbiamo collegato Agenda Sud e la riforma del 4+2 anche al Ponte sullo Stretto». Ma nei mesi scorsi aveva specificato meglio: «Servono maestranze per il Ponte» (Festa della Lega, 2 agosto 2023). È tutta qui l’idea di scuola del governo Meloni: al nord eccellenze, connessioni con le aziende, docenti ben pagati e scuole attrezzate, al sud manovalanza. Il facilitatore si chiama Calderoli che ha inserito l’istruzione tra le materie la cui competenza può passare dallo Stato alle Regioni nel Ddl 615. I sindacati della scuola, dai Cobas alla Cgil, da mesi lanciano l’allarme. La Flc Cgil è da novembre in giro per l’Italia con la Carovana dei diritti proprio per esporre i pericoli dell’autonomia differenziata.
«CI SONO DIVERSE CRITICITÀ – spiega la segretaria nazionale Graziamaria Pistorino – la prima è senza dubbio costituzionale: il diritto all’istruzione deve essere garantito in modo uniforme in ogni angolo del Paese. Qui è a rischio l’unità dello Stato, fa specie che il governo, così attaccato a un concetto d’italianità farlocco, da un lato faccia gli inutili licei Made in Italy e parli di sovranità e poi disgreghi l’identità culturale dei cittadini che si forma in un sistema scolastico nazionale». E ancora: «Già oggi le Regioni godono di ampie funzioni amministrative, oltre queste competenze non si deve andare – scriveva a gennaio la Flc -. L’apprendimento e le finalità dell’istruzione ancorate all’esercizio della cittadinanza sono diritti che devono essere garantiti in ogni luogo perché sono nazionali, non regionalizzabili, ed esigibili a prescindere dai governi locali».

I RISCHI evidenziati dai sindacati e da altre associazioni come Esecutivo nazionale No Ad e Coordinamento per la Democrazia costituzionale sono diversi: l’eccessivo potere in materia di programmi, orientamenti e reclutamento del personale al singolo assessore regionale, la compromissione del valore legale del titolo di studio, la contrattazione diversificata in base al territorio. «Questa riforma è il preludio alla privatizzazione della scuola pubblica così come già accaduto nella sanità in alcune regioni. Se si fa un ragionamento di convenienza perdiamo tutti – ragiona Pistorino – non ci saranno vantaggi per nessuno dalla parcellizzazione dell’istruzione». D’accordo anche Simona D’Agostino, dirigente della Valle d’Aosta, regione a Statuto speciale: «La nostra autonomia non ha nulla a che vedere con quella di Calderoli, dava una possibilità ai cittadini fino a quel momento poveri, serviva a tutelare una minoranza linguistica, non a fare una gara di eccellenza tra regioni ricche». «La scuola tutta rischia molto – spiega anche Elena Mandelli, docente di Bergamo – per gli studenti il pericolo più grosso è quello di non accedere, come dice il dettato costituzionale, al più alto grado di istruzione indipendentemente dalle condizione di partenza. Questo è già un diritto compromesso dalle disuguaglianze del paese, pensiamo solo alla possibilità di scuola per i piccoli da zero a 3 anni in alcune regioni».

«SBAGLIA chi crede che divida solo il nord dal sud, ci saranno anche dentro regioni ricche scuole di serie A e scuole di serie Z, territori attrattivi e territori abbandonati», avvisa Mandelli.