Enrico Letta smentisce l’ipotesi di dimissioni che ieri era comparsa sulla Stampa. Ma non nega, e non potrebbe farlo, che il braccio di ferro tra le diverse anime del partito sui tempi del congresso sta diventando insostenibile.

DA UN LATO GLI EX RENZIANI (e non solo) che premono per tenere le primarie il prima possibile, anche a scapito della fase costituente che la direzione ha approvato pochi giorni fa a larga maggioranza. Dall’altra la sinistra interna che vuole invece una vera costituente, in cui si discuta dei nodi dell’identità prima di eleggere il nuovo leader. E soprattutto che di qui a gennaio il Pd apra porte e finestre ai tanti potenziali partecipanti ad una discussione vera e non di facciata.

Tra questi ci sono Bersani, Speranza e gli altri di Articolo 1 che hanno già messo in chiaro: «Se è un normale congresso del Pd non partecipiamo». Tra i potenziali entranti c’è anche Elly Schlein, che non è iscritta e però ha messo la faccia su un percorso in cui costruire «la visione del nuovo Pd» prima della conta sui nomi.

NEL MEZZO C’È LETTA, che ha promesso a se stesso di portare il partito in modo ordinato fino alla scelta del suo successore. E che però in queste ore è diventato il «parafulmine» di tutte le tensioni interne. Una tenaglia insostenibile per un leader che il 26 settembre ha scelto di restare solo per senso del dovere. E per evitare che il partito imploda prima di arrivare alle assise. «Abbiamo già perso quasi tre settimane», lo sfogo di Letta. «In questi giorni dovremmo essere tutti impegnato a discutere, fare assemblee, definire i cardini del nuovo manifesto dei valori».

La sua road map prevede che la prima fase duri fino a fine anno. A gennaio ci sarebbe il voto degli iscritti sulle diverse mozioni e il 19 febbraio le primarie. Quasi un mese della data fissata all’inizio, il 12 marzo. «Tempi più stretti di così non sarebbero seri», il ragionamento del segretario. «La fase costituente è fondamentale».

DIETRO LE QUINTE STA succedendo di tutto. Gli ex renziani guidati da Lorenzo Guerini sono convinti che il loro candidato, Stefano Bonaccini (che però non vuole essere etichettato dalle correnti) sia il grande favorito. E non vogliono perdere altro tempo in una discussione che potrebbe evidenziare come, tra gli iscritti, prevalgano idee molto più di sinistra.

Voci di partito raccontano che il vero obiettivo sia lasciare fuori i bersaniani e soprattutto Schlein, che sarebbe una pericolosa competitor alle primarie. Anche la sinistra di Orlando e Bettini resta fredda su Schlein, e vorrebbe allungare i tempi perché non ha ancora scelto su quale candidato puntare.

«La questione è semplice: o si fa la costituente e si costruiscono le condizioni per un’apertura oppure si fa un congresso ordinario», dice Orlando. «Non c’è nessuna volontà di diluire i tempi per ragioni oscure». Sulla stessa linea Provenzano: «La costituente o si fa seriamente o è meglio fare subito le primarie. Non possiamo continuare a cercare una via di mezzo».

PROPRIO LE INFINITE mediazioni vengono viste da tanti come uno dei mali del Pd. «Mi preoccupa che ci sia un congresso un po’ falso, dove magari si trova un accrocco in cui tutti si ritrovano e non c’è la soluzione della contraddizione identitaria», dice Bettini, che ieri alla presentazione del suo libro a Napoli ha condiviso con D’Alema l’idea di un riformismo che «smetta di adattare la società alle esigenze del capitalismo globale». D’Alema ha invitato i dem ad approfittare della fase di opposizione per «ricostruire le fondamenta del partito». E ha citato Lula che «vince perché lo votano i poveri».

LETTA DUNQUE LAVORERÀ fino all’ultimo istante per far sì che l’assemblea dem (convocata domani a Roma) voti le modifiche statutarie necessarie per attuare il percorso che prevede le primarie il 19 febbraio e l’apertura del percorso agli esterni. Ma l’accordo «ancora non c’è», raccontano più fonti. In assemblea serviranno almeno 500 voti per approvare le modifiche allo statuto.

E il rischio che finisca male è alto. In quel caso tutto è possibile, anche che Letta getti la spugna. Anche un esperto come Franceschini vedi rischi di scissione e getta acqua sul fuoco: «Dobbiamo tornare a sentirci una comunità, smettendo coi ritornelli “se vince quello o questo me ne vado”».E se il capogruppo a Bruxelles Brando Benifei ieri ha detto al manifesto che «chi condivide le idee di Renzi dovrebbe andarsene», la destra interna replica con Lia Quartapelle: «Serve un congresso rigenerativo, non distruttivo».