Non è un annuncio inatteso anzi la notizia da giorni circolava alla camera. Anche mesi. Alla fine il deputato dem Alfredo D’Attorre, bersanianissimo anzi pupillo dell’ex segretario ai tempi della coalizione Italia bene comune, lascia il Pd. Lo ha annunciato ieri in un’intervista al Corriere della sera. Dopo molti no e qualche sofferto sì il deputato nato a Melfi, normalista, ricercatore in filosofia e responsabile delle riforme nel Pd avanti Renzi, alla sua prima legislatura, stavolta non ha intenzione di votare la legge di stabilità: «Impianto insostenibile», spiega, «al centro c’è l’abolizione della tassa sulla prima casa, compresi i proprietari di castelli. Neppure Berlusconi si era spinto fin lì».

A Montecitorio altri due-tre potrebbero seguirlo in direzione – forse dopo un breve passaggio nel misto – di un nuovo gruppo di sinistra (o, forse, di «centrosinistra» old style, per favorire l’arrivo di qualche ’prodiano’) che nascerà alla camera entro fine novembre. Forse non sarà esattamente il gruppo parlamentare della ’cosa rossa’ però: D’Attorre, pacato allievo dell’ex segretario, su questo ha le idee chiare. «Non credo a una riedizione della cosa rossa o esperimenti della sinistra radicale. Se lo snaturamento del Pd arriva a compimento, si apre lo spazio per un soggetto largo e plurale di centrosinistra, ulivista».

Mentre Renzi annuncia la sua nuova Leopolda, la sesta edizione dal 2010, la seconda dell’era del governo (si svolgerà come sempre alla stazione Leopolda di Firenze l’11, 12 e 13 dicembre), il lato sinistro fuori dal recinto del Pd si affolla ancora di più. Ma di protagonisti non sempre d’accordo fra loro sul che fare. Domani nel primo pomeriggio una nuova riunione fra le diverse anime della sinistra dovrebbe provare a trovare la quadra sul percorso in direzione del ’soggetto unico’ ma soprattutto sulle alleanze delle prossime amministrative. A partire dal caso di Milano dove Sel è decisa a partecipare alle primarie del centrosinistra, almeno per ora. Nel partito di Vendola non sono tutti d’accordo. Nell’assemblea di sabato prossimo si confronteranno quelli che accelerano sulla ’cosa rossa’, come il coordinatore Nicola Fratoianni, quelli più cauti non disposti a ’rompere con il Pd’ in tutte le città, e quelli che ancora pensano a un centrosinistra nazionale nonostante «l’autoritario» Renzi e nonostante l’Italicum (come i senatori Uras e Stefàno, considerati i più vicini al Pd). A novembre invece la convention di Pippo Civati schiererà l’associazione Possibile sulla linea dei primi. Che poi è la stessa del Prc di Paolo Ferrero. La nuova cosa rossa, o quel che sarà, nascerà di sicuro: ma la via crucis per arrivarci ha ancora parecchie fermate.

D’altro canto proprio la mancanza di un soggetto a sinistra del Pd, ma un soggetto che sia «arioso, largo e plurale, la casa di tutti quelli che stanno male nel Pd» – come lo immagina D’Attorre- è uno dei fattori che hanno fatto impantanare la minoranza dem. Che oggi si trova alle prese con una profonda crisi di identità, dopo l’ennesimo accordo al ribasso sulla riforma costituzionale. E in vista del voto su una finanziaria già duramente criticata da Bersani. Al quale ieri il segretario ha replicato con durezza a proposito dell’ormai rituale accusa di decisionismo solitario: «Alla faccia di chi dice che c’è un uomo solo al comando, dico che la sfida la vinciamo insieme. Io so quali sono le mie responsabilità. Vado avanti come un treno, non ho paura: posso perdere le elezioni – ma non preoccupatevi, le vinciamo – ma non la faccia. Vado avanti senza arretrare di un centimetro».
Ieri i compagni di nidiata di D’Attorre hanno salutato l’ex sodale senza fare un plissé. L’addio è un segno di «malessere» ma «si sta nel Pd, per me non c’è nessuna alternativa», ha spiegato Roberto Speranza, giurando che lui non se ne andrà «neanche con le cannonate». Barbara Pollastrini, dalemian-cuperliana, ha chiesto al segretario di «riflettere su come ristrutturare la casa, renderla aperta a un’idea di sinistra decisiva per cambiare dalla parte giusta».

Cruciali, anche nel partito di Renzi, le amministrative nelle grandi città governate dal centrosinistra: Milano, Roma, Torino, Bologna: se il Pd deciderà di rilanciare la coalizione o se Renzi vorrà sperimentare il ’partito della nazione’ pigliatutto e autosufficiente. Magari per prendere l’onda di una campagna elettorale lunga tutto il 2016: dalle amministrative di primavera fino al referendum costituzionale dell’autunno. Che, se tutto va bene (per lui) potrebbe portare persino alle politiche del 2017.