La voce di Alessandro Ugolini la capto cavernosa, lontana, brandelli di parole a volte spariscono, inghiottite misteriosamente dall’etere. Dice che la situazione nell’Acre sta precipitando, «ci sono molti casi di contagio a Rio Branco, un aumento del 10% ogni giorno, solo ieri 658 nella regione dell’Acre, 400 in analisi e le zone remote non hanno accesso al sistema di salute, quindi sono molti di più».

Vive a Brasileia, dove è cooperante del Cospe di Firenze, nel nord est del Brasile, città gemella della boliviana Cobija, che invece sta nel Dipartimento del Pando, dove la situazione è molto diversa.

«QUI È TUTTO APERTO, con Bolsonaro negazionista e la pressione dei commercianti, nessuna misura, nessun isolamento – capto, tra pause e fruscii di suono – La pressione dei commercianti è molto forte, invece a pochi chilometri, nella parte boliviana oltre a essere in vigore un decreto per cui si esce solo un giorno a settimana per fare la spesa, stabilito dall’ultimo numero della carta d’identità – racconta – il sabato e la domenica è tutto chiuso, è vietato uscire, le pene sono severissime, c’è l’esercito che pattuglia per strada».

La voce all’improvviso sparisce, poi ritorna dal silenzio però con una grana diversa: «Ormai nella parte boliviana scarseggiano gli alimenti, perché importano quasi tutto dal Brasile, prodotti congelati, uova, e da Perù e Cile frutta e verdura, le popolazioni contadine e quelle indigene hanno grandi problemi di mobilità, perché per scoraggiarla», dice, sento dei fruscii di suono, le parole dileguano, e quando ritornano: «Gli indigeni e i contadini non sono riusciti a vendere il cacao e la noce dell’Amazzonia, dovrebbero fare 40 chilometri a piedi per raggiungere i mercati». Sono allo stremo.

Per gli alimenti dipendono dai militari, che li consegnano ogni due settimane, i viveri scarseggiano, «sono alla fame», dice ancora laconico.

I coniugi Danielson e Sanaya Katitaurlo della tribù Nambikwara Sarare, nella riserva Conquista D’Oeste in Mato Grosso. Foto Ap

CONOSCO QUELLA REGIONE, ho viaggiato lungo le sue strade infinite, rettilinei vertiginosi che tagliano la selva ormai molto deforestata, dove l’autunno scorso incrociai piccole proprietà terriere di coloni da un lato e le grandi fazende dall’altro, praterie sterminate di chilometri con mucche bianche e cavalli al pascolo, bisonti, interi pezzi di foresta scomparsi e rare silhouette di alberi altissimi.

E a Xapurì visitai la casa e conobbi gli amici di Chico Mendes, il leader dei seringueiros, il sindacalista che guidò la lotta per le riserve estrattive, che coincise con la demarcazione delle terre indigene in nome dei «Popoli della foresta», legando diritti sociali e difesa dell’ambiente, agro-ecologia e politica, gli ultimi sopravvissuti di una stagione straordinaria.

Quando stavo per arrivare al paese, sulla strada mi fu indicata la fattoria di Darcy Alves Ferreira, il fazenderos che il 22 dicembre 1988 uccise Chico, e in una rivendita di bibite incontrai un tipo corpulento e scostante che dissero fosse una delle guardie che quella notte avrebbe dovuto proteggerlo, ma non aveva voglia di parlare.

Entrai nella piccola casa di legno alla fine del paese, dove sono conservati i suoi libri, scorsi la macchina da scrivere Remington appoggiata su uno scrittoio, il tavolino rosso intorno al quale stava giocando a domino nella parte posteriore, prima di essere ucciso a colpi di fucile, vidi i fori dei proiettili sulla porta che dava sul bagno esterno.

ALESSANDRO, CHE GIÀ ha avviato un progetto di promozione dello sviluppo socioeconomico sostenibile nel settore agroforestale nell’Amazzonia boliviana, nell’attività di trasformazione e commercializzazione e l’adattamento al cambiamento climatico di prodotti come cacao, tamarino, cupuazu, noce del Brasile e banana, sta lavorando insieme alla figlia Angela per costruire anche nella Riserva Estrattivista “Chico Mendes” quello che chiama «un processo culturale-economico», anche perché finita la produzione del lattice, che ormai viene importato dall’Asia, «la sfida è quella di identificare nuovi prodotti e nuovi circuiti di commercializzazione, c’è una mancanza di comprensione delle giovani generazioni che devono tornare a gestire queste economie da protagoniste». Anche a Xapurì è arrivato il Covid-19, sono già nove i contagiati e molti altri sospetti, il virus si sta diffondendo in modo esponenziale su tutta la popolazione.

Angela Mendes in questi giorni ha inviato un appello al Cospe, per rilanciare in Italia e in Europa il pensiero e le lotte di suo padre, un documento dove parla della disumanità del governo che non protegge i popoli indigeni dal Covid-19, e che in questa situazione la deforestazione è ancora più forte: «Il 18 aprile, un indigeno Uru-eu-wau-wau, che era membro di un gruppo che ha denunciato il disboscamento illegale nella regione, è stato assassinato nello stato di Rondônia», scrive. «Sì, questi criminali continuano ad agire liberamente, e a disboscare la foresta.

Secondo l’Imazon Deforestation Alert System, la deforestazione è cresciuta del 279% nel marzo di quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2019, in piena crescita della pandemia, e questo aumento potrebbe essere collegato all’avanzamento dell’estrazione dell’oro e al funzionamento dei land grabbers, persone che si impossessano delle terre altrui».

E ANCORA: «Ora abbiamo più che mai bisogno di richiamare l’attenzione del mondo sulla situazione in cui vivono queste popolazioni, che hanno bisogno in questo momento di appoggio per un piano di emergenza per la salute e la sicurezza alimentare e nutrizionale che consentirà loro di continuare a R(esistere)».

Come cantavano i Gang nella struggente canzone dedicata a Chico Mendes: «Quando finirà questa sporca guerra, chi li salverà i custodi della terra?».