Lo Stato del paternalismo digitale governerà i poveri, italiani e li obbligherà a spendere tutto il sussidio di ultima istanza vincolato al lavoro obbligatorio definito impropriamente «reddito di cittadinanza». «Sarà erogato su una carta. Permette la tracciabilità, non l’evasione o le spese immorali» sostiene il vicepremier Luigi Di Maio. Dalla «carta d’identità elettronica» – è l’ipotesi del Commissario straordinario per l’«agenda digitale» Diego Piacentini, già manager Amazon, che realizzerà il dispositivo – dovrà essere speso il 75% del credito per acquisti che «assicurano la sopravvivenza minima dell’individuo» (Di Maio).

In questa visione crudamente realistica è stato rispolverato un concetto dell’antropologia negativa: l’essere umano concepito in base ai suoi bisogni primari, non come «animale politico» (Aristotele) o «potenza» (Spinoza). Chi rientrerà nella soglia di spesa potrà aumentare la soglia degli acquisti il mese successivo. Se, invece, non sarà spesa la cifra prevista, il soggetto sarà colpito da una penalizzazione: il sussidio accreditato potrebbe diminuire, costringendolo il mese dopo a tornare a spendere. Tutto questo nei limiti definiti dalla differenza tra il tetto massimo di 780 euro e il calcolo dei limiti patrimoniali e reddituali Isee attribuiti ai «poveri assoluti»: coloro che hanno un reddito inferiore ai 650 euro mensili. A conti fatti, la cifra netta potrebbe essere pari a una media tra i 200 e i 400 euro decrescenti e vincolati all’obbligo di otto ore di lavoro gratis per lo Stato e della formazione obbligatoria.

Il cittadino inserito in questo sistema dei crediti sociali, che ricorda quello sperimentato in Cina, non potrà acquistare ad esempio «un gratta e vinci, sigarette o comprare dei beni non di prima necessità», sostiene Di Maio. Il povero è inteso come soggetto subalterno e dovrà risultare virtuoso agli occhi del panottico di Stato che lo valuterà in base alla sua capacità di effettuare «consumi morali» e non «immorali». «Grazie alle tecnologie è possibile disabilitare l’utilizzo del reddito in alcuni negozi – ha aggiunto Di Maio – L’obiettivo è spenderlo nei negozi italiani e sul suolo italiano».

La sorveglianza sui comportamenti dei poveri sarà garantita anche dalle forze dell’ordine. Lo ha confermato il ministro dell’Economia Giovanni Tria che teme l’uso opportunistico di fondi da parte di chi lavorerà in nero e froderà lo Stato. C’è tuttavia la possibilità che il soggetto in questione preferisca sottrarsi alla disciplina. Un’eventualità al momento non calcolata. A scopo preventivo Tria ha dato «mandato alla Guardia di finanza di predisporre un piano specifico per poter intervenire «su quella linea di divisione che ci può essere tra lavoro nero e poveri. Chi giocherà su questo giocherà su un terreno molto rischioso» ha detto Tria. La società dei controlli tutelerà le «politiche attive» e assicurerà «un più fluido accompagnamento delle risorse di lavoro da un impiego all’altro, o al primo lavoro, al duplice scopo di garantire la necessaria mobilità del lavoro». Per realizzare un simile obiettivo il governo dovrà risolvere questi problemi: la legislazione concorrente tra Stato e regioni sulle politiche del lavoro; investire risorse ingenti nell’assunzione, nella formazione e riqualificazione del personale (i previsti 800 milioni-un miliardo potrebbero essere insufficienti); realizzare un database unificato e di un sistema di governance digitale. Un simile sistema di workfare neoliberale (work to welfare: lavorare per ottenere un beneficio condizionato a tempo), su una scala incomparabilmente superiore, la Germania ha impiegato cinque anni. Il governo pensa di farlo in tre mesi, da gennaio a marzo perché ad aprile 2019 il «reddito di cittadinanza» entrerà in vigore, in tempo per le elezioni europee. L’ottimismo digitale è di rigore nel populismo italiano.

Ulteriori dettagli sul modo in cui funzionerà la «carta» sulla quale transiterà l’importo del sussidio di ultima istanza sono stati forniti ieri dal Commissario per l’agenda digitale Piacentini. «Ho parlato parecchie ore con Di Maio e siamo stati chiamati per aiutare a gestire l’implementazione della misura che deve seguire quattro componenti – ha detto – l’identificazione degli aventi diritto, e già questa non è una cosa certa; la distribuzione dei soldi; il controllo spesa; la valutazione della policy cioè sapere a posteriori se la misura ha funzionato, cosa che manca al governo italiano e non solo». Una quinta componente, ha aggiunto, riguarda «la sicurezza e la privacy». «Puoi chiamarlo come vuoi: reddito di cittadinanza, reddito di inclusione, bonus mamme o bonus bebè. Qualsiasi aiuto dello Stato deve transitare da queste quattro attività».

Le parole di Piacentini – terminerà il suo mandato a fine mese e tornerà a Seattle, ma non a Amazon – sono particolarmente interessanti per spiegare l’orizzonte culturale in cui si inserisce questa peculiare versione della società della sorveglianza. «Il reddito di cittadinanza può essere una grossissima occasione per digitalizzare il paese – ha detto Piacentini – la politica non c’entra con questa mission». Si fa «con l’organizzazione giusta, con i processi giusti, con la separazione della ideologia politica dai processi» ha spiegato dal palco dell’EY Digital Summit di Capri. L’evocata neutralità della tecnica digitale è un’ideologia ed è applicata nel progetto che sta emergendo sul cosiddetto «reddito di cittadinanza». Nei discorsi degli esponenti del governo emerge un affidamento alla tecnologia considerata capace, in sé, di rendere trasparenti i problemi tecnico-amministrativi. La digitalizzazione è, in questo caso, accompagnata da un’idea del governo dell’essere umano vincolando la sua autonomia a un meccanismo di etero-direzione.

La retromarcia del governo sul deficit al 2,4%, prima pensato su tre anni e ora concepito per un anno, potrebbe essere d’ostacolo per la realizzazione del progetto sociale più discusso in Italia. I fondi per il reddito e la pensione di cittadinanza – i «10 miliardi», somma dei fondi del «ReI», Naspi, garanzia giovani) e risorse «fresche» in deficit tra 5-6 miliardi – potrebbero essere ridimensionati se non ci sarà la crescita dall’attuale 0,9% all’1,6-1,7% del Pil annunciata dal Def per il 2019. In questo caso il «fortissimo taglio di spending review» annunciato da Tria potrebbe essere rivolto anche ai fondi investiti su questo progetto di «reddito» usato per «far ripartire la vita delle imprese e dei commercianti» (Di Maio). Lo prevede la «clausola di salvaguardia sulla revisione della spesa» annunciata da Tria. Su questa scommessa finanziaria dipende il futuro del governo morale dei poveri.