Per me ricordare in poche parole il monumentale lascito di Alberto nella mia esperienza personale è impossibile: da quando ci cimentavamo con l’operaismo (io semplice promotore del gruppo Città Fabbrica nei quartieri operai di Torino, Alberto dirigente di Classe operaia prima e direttore di Contropiano poi), alle sue battaglie politiche.

Tra queste l’originale proposta di una «Camera di consultazione» della sinistra per “mettere a confronto società politica e società civile, politici e intellettuali, partiti e associazionismo, secondo una modalità, da tutti a parole auspicata di democrazia partecipativa”. E le battaglie culturali per politiche di autentico riconoscimento delle identità dei popoli, esemplificate dal saggio su Macchiavelli come resoconto della “disfatta storica” dell’Italia. Mi soffermo dunque sul lascito politico-culturale (forse il meno noto) di un’unica esperienza recente, la sua fondazione nel 2009 della Rete dei comitati per la difesa del territorio della Toscana, nel vivo di molte battaglie territoriali puntuali, in cui le mille vertenze locali su ambiente, territorio e paesaggio, visti dai mondi di vita degli abitanti, si fanno progetto collettivo. Con questa esperienza Alberto matura l’approccio teorico del neoambientalismo.

Bisogna estendere la nozione di ambientalismo fino a farla diventare un altro modo d’intendere il processo storico complessivo, fino a ipotizzare la costruzione di un sistema diverso. Questo è ciò che io chiamo neoambientalismo

Questo approccio si distacca radicalmente sia dal tradizionale “ambientalismo scientifico”, che dalla deep ecology e dalle politiche ambientali settoriali.
Per sintesi:

1) “La natura intorno a noi è negata perché è negata la natura che è in noi. … …l’ecologia, da intendersi come l’insieme dei provvedimenti che servono a preservare l’ambiente, non regge, non funziona e persino non ha senso, se non viene affiancata da un’ecologia dell’umano, che, così rimette in ordine l’ambiente, in quanto rimette in ordine l’uomo e i suoi vari modi d’essere”. Dunque per Alberto le azioni e le politiche ambientaliste non possono essere realmente efficaci a trasformare il mondo, se non promanano da una profonda riconquista culturale della natura che è nell’uomo.

2) “È del tutto evidente che senza memoria non c’è identità; perché non c’è identità senza che sia ben chiaro e percepibile il nesso passato-presente-futuro. E l’asse passato-presente-futuro, che indubitabilmente è un asse storico, non è dissociabile a sua volta dalla componente ambientale, che ne rappresenta appunto il contenitore.”

Se parliamo quindi di ambiente dell’uomo, non è sufficiente una nuova alleanza con la natura, ma è necessario intrecciarla indissolubilmente con la storia e la memoria, che consentono di interpretare il processo storico come co-evoluzione fra civilizzazioni e natura.

3) “Non c’è un giusto “governo del popolo” che non sia al tempo stesso un giusto e autentico “governo del territorio”. Le due cose sono incardinate l’una nell’altra, non c’è popolo senza territorio, non c’è territorio senza popolo, le due cose possono crescere, ma solo una nell’altra”.

L’estensione del concetto di ambientalismo fino a farlo motore di un sistema alternativo non consente pertanto di scindere i due termini “ambiente e territorio”, la cui interazione diviene centrale nel guidare il modello socioeconomico attraverso la riappropriazione delle capacità di autoriproduzione dei beni comuni ambientali (frutto della natura) e territoriali (frutto della storia) da parte delle comunità locali di abitanti e produttori.

L’approdo soggettivo di Alberto al neoambientalismo porta con sé anche molte continuità con la sua lunga storia culturale e politica: in particolare il rapporto fra organizzazione e soggetti sociali. La concezione di questo rapporto segue in Asor un filo conduttore che vede la soggettività (prima operaia poi sociale) giocare un ruolo fondamentale nei saperi collettivi antagonisti e nella determinazione strategica degli obiettivi del conflitto e della trasformazione .

Qui la nozione di “neoambientalismo” si salda compiutamente con quella di “territorialismo”. Noi “ecoterritorialisti”, (ma, per fortuna, non solo noi), siamo sicuramente riconoscenti eredi del neoambientalismo di Alberto Asor Rosa.