Il 2022 si è chiuso con una notizia infausta per il manifesto: nella sera del 31 dicembre è morto il nostro Filippo Maone, tra le figure che hanno fondato la nostra esperienza ormai da più di 51 anni, con Rossana Rossanda, Luigi Pintor, Lucio Magri, Luciana Castellina, Valentino Parlato, Aldo Natoli.

Lo saluteremo domani nella sala dei Valdesi a Roma. E tutto il collettivo del giornale abbraccia i familiari, le compagne e i compagni e quelli che gli hanno voluto bene. Sarà un addio collettivo. Ora vorrei il soccorso della memoria personale per scavare nel rapporto che ho avuto con Filippo, per restituire il sentire profondo, il rispetto che avevo per il suo modo originale di agire che ha influito fortemente su di me.
DIFFICILE PARLARE di lui. Perché appariva discreto, perfino schivo, quasi in disparte. In realtà Filippo era soltanto rigoroso, puntiglioso, attento alla verifica degli eventi politici e culturali che aveva avviato con coraggio. Un carattere forte che non aveva bisogno della competizione e dell’auto-rappresentazione.

Lui aveva «semplicemente» avviato la macchina del quotidiano comunista che prese le mosse il 28 aprile del 1971 e prima, aveva promosso la rivista Il Manifesto, nata nell’estate del 1969 con l’editoriale «Praga è sola», che prendeva le distanze dal Pci ma dentro, con una originale internità nella volontà di aprire un dibattito sul comunismo nel partito – sforzo che sarebbe stato bollato di «frazionismo» e «radiato» con il gruppo che la promuoveva – e che invece anticipava la riflessione necessaria per salvare ancora dalla rovina un patrimonio straordinario di lotta e di pensiero, di fronte alle trasformazioni in atto e ai nuovi movimenti, a partire da quello degli studenti.
FILIPPO FU l’anima concreta di questo lavorìo fondativo. Che continuò, nonostante le tante divisioni e rotture, con il sapiente sostegno al giornale quotidiano di fronte a mille difficoltà: la stampa, la teletrasmissione, la sottoscrizione, la prima pubblicità – Rio mare, “il tonno extraparlamentare” la definì Stefano Benni. Filippo costruiva, era dietro ogni concretezza, soccorreva ogni iniziativa «impossibile»: avrebbe addirittura ri-edito la Rivista del Manifesto negli anni 2000 intorno al dibattito sul millennio e le alternative che si aprivano promosso da Rossanda, Ingrao e Magri.

LUI NON SE NE VANTAVA, si limitava a sorridere con il suo volto mediterraneo. Era presente, appassionato e responsabile, anzi «il responsabile», ma quasi nascosto. Per questo a lui con devozione ho dedicato un epigramma e una favola. L’epigramma dice: «Alla sbarra mancava/ il presidente Mao, non è mancato per dieci anni/ alla sbarra Maone», parafrasando i rovesci della stagione cinese di Deng che avrebbe volentieri portato Mao a processo con la cosiddetta «banda dei quattro» tutti promotori della lungimirante e fallita Rivoluzione culturale. Ma è la favola (nel libro I Rabdomanti, manifestolibri) che meglio racconta Filippo, scritta per un evento privato, quasi effimero: Rossana Rossanda era tornata a Roma, dopo la permanenza a Parigi, in una nuova casa insieme all’ inseparabile gatta nera Mefis. Che un brutto giorno scappò per una porta inavvertitamente aperta. Tutti furono chiamati a cercarla, ma nessuno ci riusciva, Mefis era introvabile.

A quel punto c’era una sola cosa da fare: chiamare Filippo. Che con metodo e affetto rassicurò Rossana disperata e per molte notti si appostò nel giardino della casa chiamando la gatta che, alla fine, grazie a quella presenza, pensò di tornare. La «magia» di un mago, che ho chiamato Polifone, di un ipotetico circo delle meraviglie. Ecco cos’è stato Filippo Maone: il mago che aveva tenuto insieme tutte le nostre esperienze nel suo immaginario, praticando l’obiettivo dei programmi enunciati, passo dopo passo, dentro la realtà, oltre questa realtà. Ciao Filippo.