Meno di un magistrato su due ha aderito allo sciopero, indetto ieri dall’Anm per protestare contro la riforma dell’ordinamento giudiziario e del Csm, in fase di approvazione al senato. Sciopero di protesta, come ha detto il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia – «si pensa di controllare e irrigidire l’organizzazione della magistratura per controllare i magistrati» – ma anche sciopero per spingere il parlamento a qualche ripensamento. Del resto «questa più che una protesta contro la ministra Marta Cartabia – ha aggiunto Santalucia – e un’astensione contro gli emendamenti introdotti alla camera, fortemente peggiorativi».

Ma se il testo dovesse cambiare al senato, visti i rapporti di forza nella maggioranza, le modifiche andrebbero nel senso opposto alle richieste dai magistrati. Più probabilmente, la Lega riuscirà a rallentare l’approvazione definitiva della riforma, in modo da rendere impossibile il rinnovo del Csm a luglio con le nuove regole. E in fondo alla possibilità di modifiche migliorative, dal loro punto di vista, credono assai poco gli stessi magistrati, si spiega così la bassa partecipazione allo sciopero – un crollo vertiginoso rispetto al precedente sciopero “politico” del luglio 2005. Alla grande maggioranza delle toghe la riforma non piace, ma evidentemente solo una minoranza ha pensato che l’astensione dal lavoro, a questo punto, potesse servire a ottenere qualcosa.

Secondo i dati raccolti dalla stessa Anm nei distretti di Corte d’appello (a differenza che nel passato, questa volta il ministero ha rinunciato a dare le sue cifre ufficiali) ha aderito allo sciopero il 48% dei magistrati, una parte dei quali ha comunque lavorato per garantire i servizi essenziali e la continuità degli organi costituzionali (ai ministeri, al Csm). La percentuale più bassa di adesione è stata registrata in Cassazione, il 23%. Bassa anche nel resto del distretto di Roma: 38%. Più alta, ma più bassa delle previsioni a Milano (51%) e a Napoli (53%), sopra il 70% solo a Bologna (73%), discreta a Bari (69%), minima a Cagliari (39%) e a Messina (35%). Percentuali che impallidiscono al confronto con lo sciopero del 14 luglio del 2005, il precedente diretto quando l’Anm incrociò le braccia contro la riforma dell’ordinamento del centrodestra. Allora a Milano si astenne dal lavorare il 90% delle toghe e più dell’80% in quasi tutti gli altri distretti.

«Tutto sommato è un risultato comunque significativo, considerato la grande campagna che c’è stata contro lo sciopero», il commento del segretario di Area Dg Eugenio Albamonte, che ha sottolineato il dato positivo dell’adesione più alta tra i giovani magistrati. «In un contesto generale non facile, c’è stato un livello di adesione all’astensione intorno al 50%, comunque importante», ha detto il segretario dell’Anm Salvatore Casciaro, magistrato della corrente di destra Mi.

Secondo il quale «l’Anm si è fatta interprete autorevole del disagio e della preoccupazione reale di tanti magistrati, ci sono ancora i tempi e gli spazi per modifiche migliorative del testo e spero ci sia anche la volontà delle forze politiche di confrontarsi». In realtà l’Anm è stata nuovamente ascoltata in audizione in commissione al senato la settimana scorsa, ma senza che siano emerse disponibilità a raccogliere le richieste dei magistrati. Al contrario, se l’approvazione definitiva della riforma tarderà (com’è probabile, si aspettano notizie oggi dalla capigruppo del senato), il 12 giugno si terranno i cinque referendum sulla giustizia che anche loro spingono in direzione opposta a quella indicata dalle toghe – ad esempio cancellano del tutto la possibilità di giudici e pm di cambiare, anche una sola volta, funzione.

Intanto però la deludente adesione allo sciopero farà discutere anche l’Anm al suo interno. Comincia Stefano Musolino, segretario di Magistratura democratica: «Il 48% di adesione ci consegna una magistratura apparentemente divisa, in realtà è anche l’effetto di una proclamazione affrettata. Proprio per questo avevamo richiesto un tempo più lungo per spiegare meglio le ragioni dello sciopero dentro e fuori la magistratura. Non abbiamo avuto la possibilità di costruire una sintonia collettiva interna, né la capacità di trovare interlocutori solidali all’esterno».