Una triste lotta per la sopravvivenza si sta intensificando nelle aree semi-aride dell’Africa. Protagonisti: da un lato milioni di uccelli passeriformi affamati; dall’altro le colture di miglio, sorgo, riso, grano, teff, spesso gestite da contadini in regime di pura sussistenza.

QUELEA DAL BECCO ROSSO (quelea quelea): è un uccelletto dal peso di 10-15 grammi, della famiglia dei ploceidi (uccelli tessitori). Le tre sottospecie sono presenti nelle regioni semi-aride del continente africano, nel Corno d’Africa, nel Sahel, nell’area australe. Sono oltre un miliardo di individui, migrano su lunghe distanze e hanno pochi predatori naturali. Si nutrono prevalentemente dei semi prodotti da erbe autoctone.

MA LA SICCITA’, ORMAI PERENNE nel Corno d’Africa (Etiopia, Kenya e Somalia vivono la più scarsa pluviometria degli ultimi 40 anni) e sempre più presente anche altrove riduce moltissimo la disponibilità delle erbe spontanee e obbliga gli uccelli dal becco rosso a rivolgersi alle colture di piccoli cereali. Dal miglio al teff, dal riso al sorgo. Si calcola che nella stagione secca ogni quelea possa nutrirsi di 10 grammi di semi al giorno. E così i passeri africani sono bollati come la «specie di uccelli più dannosa per le colture di piccoli cereali nelle zone semi-aride dell’Africa». La Fao (stima i danni in 50 milioni di dollari annui.

STAVOLTA E’ IL KENYA che vede minacciati 800 ettari di campi di riso da milioni di quelea. Il metodo di lotta più usato da organizzazioni regionali, governi e aziende è da decenni l’irrorazione – per via aerea o da terra – dell’avicida fenthion, un organofosforico che uccide gli uccelli per soffocamento e la cui elevata tossicità per umani, animali, vegetazione, suolo e acque è ben nota. Spiega Paul Gacheru di Nature Kenya, affiliato alla rete Burdlife International: «L’impiego massiccio di avicidi mal gestiti porta a una contaminazione dell’ambiente e alla morte massiccia di uccelli e animali di altre specie». Isabella Pratesi, direttrice del programma Conservazione del Wwf, denuncia: «I deserti ecologici prodotti da pratiche insostenibili che uccidono anche importanti tasselli delle catene alimentari come i rapaci o importanti insettivori».

NEL QUADRO DELLA CONVENZIONE di Rotterdam che disciplina le esportazioni e importazioni di alcune sostanze chimiche pericolose e che è amministrata da Fao e Unep (programma Onu per l’ambiente), il Comitato di esame dei prodotti chimici (Crc) ha raccomandato di inserire il fenthion nell’Allegato III, ovvero le sostanze estremamente pericolose, al bando o molto controllate e di cercare soluzioni alternative all’avicida, oltre a sensibilizzare le popolazioni. Un’urgenza approfondita nello studio Alternatives to fenthion for quelea bird control condotto da Robert Checke del Natural Resource Institute, università di Greenwich.

L’UCCELLO QUELEA NON E’ una locusta, eppure come tale viene trattato. Un grande errore, sottolinea lo studio: «La sua semplice presenza non giustifica il controllo letale. Gli uccelli sono spesso innocui, specialmente quando abbonda la loro erba preferita. Le strategie devono essere molto diverse dall’approccio applicato alla locusta del deserto e alla spodoptera africana, con i quali si deve trattare non appena gli insetti si manifestano». Viene bocciata anche l’alternativa al fenthion più usata, il cyanophos, che risulta quasi altrettanto nociva. Quanto i metodi di controllo biologico, da un lato i predatori naturali hanno effetti trascurabili, salvo in certi casi; dall’altro, l’idea di individuare parassiti o virus in grado di decimare le popolazioni di quelea può essere davvero diabolica.

ESPLOSIVI E BOMBE INCENDIARIE, per bruciare i nidi e con essi i pulcini e i genitori, compaiono fra i diffusi metodi meccanici di lotta. Piuttosto scioccanti, comportano vittime collaterali di altre specie, incendiano anche la vegetazione e pongono problemi di sicurezza tanto che in Tanzania non sono usati. E possono essere applicati solo in caso di colonie di limitata estensione.

LE TRAPPOLE DI MASSA NELLE COLONIE, con ogni sorta di rete, anche quelle da pesca, sono un altro metodo meccanico descritto nello studio e del resto ben noto, insieme alla distruzione dei nidi e al prelievo dei pulcini. Così i pochi grammi di ogni quelea dal becco rosso diventano cibo animale anche venduto agli angoli delle strade (non viene descritta la modalità di esecuzione dei catturati). Ma è scarso l’impatto protettivo per le colture. E le vittime collaterali sono numerose. L’applicazione non può che essere circoscritta.

MALGRADO IL DISPIEGO DI DIVERSI metodi cruenti, il problema degli stormi voraci rimane. Nell’Africa Australe, un progetto per la «promozione di una gestione razionale degli animali nocivi e dei pesticidi» che doveva partire nel 2020 è stato molto rallentato dalle misure anti-Covid; prevedeva fra le alternative l’uso di rapaci e vari controlli fisici.

I CONTROLLI NON LETALI, MECCANICI e relativi alle colture, sono applicati ma hanno limiti diversi. Vanno dalla variazione dei tempi di semina e raccolto per evitare i periodi di presenza massiccia di quelea (ma questo richiede l’irrigazione), alla scelta di varietà che maturino prima. Ci sono cultivar sgradite alla specie quelea ma hanno più tannino. Il mais non è attaccato ma è idrovoro. Bene le arachidi come alternativa. Quanto alle reti protettive, sono inaccessibili per via dei costi.

CONTENERE LA RIPRODUZIONE. Per limitare all’ultima spiaggia il controllo letale della specie quelea quelea, soprattutto con sostanze nocive, e minimizzare l’uso di queste ultime, viene sottolineata la necessità di migliorare l’efficienza delle operazioni, individuando precocemente gli spostamenti e le affollate colonie. Ma occorrono ricerche, strutture e fondi.

INTANTO, I PICCOLI COLTIVATORI privi di mezzi fanno ricorso a metodi ancestrali: ecologici, ma che richiedono tanto tempo. Nei campi, nel mese di vulnerabilità delle loro colture, spaventano gli uccelli con rumori e oggetti in movimento. Con l’aiuto dei bambini. Una persona può proteggere un ettaro. Sono allo studio metodi commerciali, ma inaccessibili ai poveri. E quali saranno gli incruenti spaventapasseri del futuro, capaci di resistere anche alla siccità? Arrivare alla pace con metodi incruenti e senza avvelenare ambiente, animali e persone potrebbe rappresentare un precedente nel rapporto con i selvatici.