La fuga dall’Afghanistan come unica via possibile per salvarsi. Operazioni (anche italiane) per portare fuori dal Paese chi rischia la vita per aver collaborato, a vario titolo, con gli occupanti sono in atto sottotraccia e la delicatezza dell’operazione impone il silenzio.

«Quel che è certo – ci dice Afgana, associazione di sostegno alla società civile – è che tutto quello che si sta muovendo in questa direzione si deve alla mobilitazione della società civile, delle ong italiane attive nel paese e dei tanti che hanno creduto nella possibilità che l’Afghanistan cambiasse marcia».

E IN EFFETTI gli appelli per aprire ponti aerei si moltiplicano nelle ultime ore. Organizzazioni della società civile, parlamentari, giornalisti, attivisti per i diritti umani hanno lanciato ieri un appello al presidente del Consiglio Mario Draghi per chiedere l’evacuazione immediata dall’Afghanistan senza esclusioni, accogliendo subito chi scappa dai talebani: donne single o sole con figli, persone Lgbt+, anziani senza rete di protezione, attiviste e attivisti, giornaliste e giornalisti, insegnanti, studenti, operatrici e operatori sanitari e sociali, oltre a chi ha lavorato in programmi umanitari e di sviluppo con le organizzazioni internazionali.

«È evidente – si legge nell’appello che vede tra i primi firmatari la parlamentare Lia Quartapelle e l’Aoi – che il rischio di ritorsioni, vendette, discriminazioni non è limitato solo a chi in questi anni ha lavorato con gli alleati della Nato: oggi a rischio sono i principali oppositori del regime totalitario e del pensiero integralista dei talebani, le donne, le minoranze e le voci libere della società civile e del giornalismo, chi ha lavorato per un Afghanistan diverso nelle scuole, nella sanità, nella società. L’attenzione del nostro paese e dell’Europa verso l’Afghanistan non può essere condizionata dalla fine della presenza militare internazionale».

UNA VOCE SI È LEVATA anche dalla Comunità di Sant’Egidio, che da oltre sei anni lavora per costruire i corridoi umanitari dal Libano e che, con un nuovo protocollo con i ministeri dell’interno e degli esteri, sta avviando il primo corridoio umanitario per profughi dai centri di detenzione in Libia.

«L’Europa – scrivono – deve agire per garantire la protezione di quanti fuggono dall’Afghanistan riconquistato dai talebani. In queste ore migliaia di uomini, donne e bambini rischiano la vita semplicemente per avere creduto nei valori della democrazia, della libertà di esprimersi e di studiare. Chiediamo un impegno anche all’Italia, che per prima ha sperimentato con successo i “corridoi umanitari”, perché adotti questo strumento per facilitare l’evacuazione di profughi afghani».

UN’INIZIATIVA LEGATA al mondo politico è quella partita dalla delegazione degli Eurodeputati del Partito democratico che ha rivolto un appello alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, al presidente del Consiglio europeo Charles Michel e all’Alto Rappresentante per la politica estera e la sicurezza comune Josep Borrell.

«Ci aspettiamo da voi – si legge nel testo – una reazione adeguata, sapendo che potete contare su molte disponibilità di organizzazioni, di ong e di comunità locali del nostro continente, pronte all’accoglienza. Da parte nostra vi assicuriamo il sostegno parlamentare più convinto, nel quadro di un’indispensabile azione politica europea che guardi al futuro dell’Afghanistan, area che necessita di un protagonismo europeo comune».

Pressioni sul governo italiano sono in corso anche da Amnesty International, che sta preparando un appello simile a quelli già in corso. Tramite la piattaforma change.org, è stata creata una petizione che chiede di aprire corridoi internazionali «per mettere in salvo le donne afghane e i loro bambini, così come i bambini degli orfanotrofi di tutte le città cadute in mano ai talebani».