Adelante con juicio. Con molto, moltissimo juicio. La strategia del governo, nelle sue grandi linee, è chiara. La stragrande maggioranza dei fondi a disposizione nella manovra andrà sul fronte della crisi energetica. Sulle misure di bandiera, quelle sventolate in campagna elettorale, si faranno piccoli passi, giusto per dire che il percorso è cominciato.

Quanto piccoli saranno questi “passetti da formica” però è ancora incerto, perché incerta è la voce principale: quanto verrà fagocitato dal caro bollette e dalla crisi energetica e quanti spiccetti resteranno a disposizione. Il governo dovrà fare i conti nei prossimi 10 giorni: Matteo Salvini garantisce che tanti e non di più ce ne vorranno per varare la legge di bilancio. Dato il ritardo immenso imposto dalle elezioni anticipate è probabile che sia buon profeta.

LA SOLA CIFRA CERTA sembra essere quella del Superbonus, che verrà portato dal 110 al 90%. Quanto la misura, detestata già da Mario Draghi, sia onerosa lo ha confermato ieri l’Enea. A ottobre l’esborso è cresciuto ancora e nel complesso arriverà a 60,5 miliardi: più o meno quanto sono costate finora le misure di sostegno per il rialzo dei prezzi. Il progetto allo studio prevede anche la riammissione delle “villette”, al secolo le abitazioni monofamiliari, per le quali dovrebbe essere però introdotta anche una soglia di reddito, ancora da definirsi. La cifra considerata, ancora in via solo ipotetica, sarebbe di 15mila euro, passibile però di innalzamento a seconda del numero degli abitanti. Il sottosegretario all’Economia Federico Freni assicura che ci sarà anche lo sblocco della cessione del credito ma senza addentrarsi in particolari.

SUL FRONTE DEL REDDITO di cittadinanza l’ipotesi iniziale di limitarne l’accesso a chi non è in grado di lavorare sembra tramontata anche se non si può mai dire e il ministro Adolfo Urso ripete invece che «va mantenuto solo per chi non può lavorare». Significherebbe però lasciare senza reddito alcune centinaia di migliaia di persone e nel mezzo della tempesta prezzi l’azzardo sarebbe per il governo eccessivo.

L’ipotesi su cui punta la Lega e che il sottosegretario Claudio Durigon dà già per certa passa per la cancellazione del reddito di cittadinanza dopo il primo lavoro «congruo» rifiutato – misura che rovescerebbe la logica originaria del provvedimento rendendo i lavoratori più invece che meno ricattabili quanto a salario – e per la fissazione di un limite temporale: dopo i primi due anni scenderebbe progressivamente. Ma quello del leghista è forse un tentativo di forzare la mano. Dal ministero del Lavoro si premurano di specificare che non è stata ancora presa nessuna decisione.

LA LEGA INSISTE per il taglio drastico del reddito di cittadinanza soprattutto per liberare fondi da investire nelle sue riforme-simbolo: quota 41 e la Flat-Tax. Ci saranno entrambe, ma dosate col contagocce. L’età minima per quota 41 è in ballo. La Lega vorrebbe fissarla a 61 anni, la ministra del Lavoro Marina Calderone è molto meno convinta. Potrebbe salire a 62 o anche 63 anni. «Dimostreremo che la Flat Tax non era uno slogan. Cominciamo con innalzare la soglia per gli autonomi da 65mila a 100mila euro, forse qualcosina meno», giura Freni.

Il «qualcosina» dovrebbe significare 85mila euro anche se Salvini spera ancora di arrivare almeno a 90mila. Se si considera che l’innalzamento a 100mila euro era dato già per certo dal governo Draghi non è molto e sul cuneo fiscale le cose stanno esattamente allo stesso modo: «Sarà fatto gradualmente», conferma Urso. Stabilita sembra essere per ora solo la ripartizione, sulla quale concordano le parti sociali, due terzi a favore dei lavoratori, un terzo delle imprese.

L’ESTREMA PRUDENZA del governo, che anche nelle cifre della Nadef si è mosso con i piedi di piombo, sono il biglietto da visita con cui il ministro dell’Economia Giorgetti si è presentato ieri all’Eurogruppo, che ha molto apprezzato: «Vedo ampio spazio per un rapporto molto positivo», si congratula il presidente di turno, il ministro delle Finanze irlandese Donohe. Il ministro italiano ha anche incontrato l’omologo tedesco e ha ripetuto che sul debito «l’Italia deve fare la sua parte e la farà». Ma sul fronte della risposta alla crisi energetica il quadro non cambia: «C’è accordo su politiche comuni e coordinamento, non sul debito comune».