È stato pubblicato in gazzetta ufficiale il decreto che aggiorna l’elenco dei paesi di origine dei migranti che l’Italia considera sicuri. Passano da 16 a 22. Il provvedimento è firmato dai ministri Antonio Tajani (Esteri), Matteo Piantedosi (Interni) e Carlo Nordio (Giustizia). La data in calce è il 7 maggio. Della lista precedente facevano già parte: Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Senegal, Serbia e Tunisia. A questi si aggiungono: Bangladesh, Camerun, Colombia, Egitto, Perù e Sri Lanka. Non c’è il Pakistan, su cui il governo era al lavoro.

«Le conseguenze per i richiedenti asilo provenienti da questi paesi sono molto rilevanti in relazione alla possibilità di far valere effettivamente il proprio diritto di asilo», spiega in una nota Silvia Albano, giudice del tribunale civile di Roma e presidente di Magistratura democratica. Per quei cittadini stranieri, infatti, non vale la procedura ordinaria per la protezione internazionale, che prevede una serie di garanzie rispetto al diritto di difesa e la possibilità di essere regolari fino all’esito della domanda (in media ci vogliono due anni). Sono invece sottoposti alle procedure accelerate che hanno tempi strettissimi sia per la commissione territoriale, sia per l’eventuale ricorso davanti all’autorità giudiziaria. Questo non sospende l’espulsione: si può essere rimpatriati prima della sentenza.

IL DECRETO ENTRATO in vigore l’altro ieri è anche un tassello fondamentale del piano Albania. Se tutto dovesse funzionare, infatti, nei centri realizzati nel paese delle Aquile potranno essere trattenuti «solo i richiedenti asilo provenienti da paesi di origine sicura», dice ancora Albano. La reclusione durante l’esame della domanda di protezione, infatti, è una novità introdotta dal decreto Cutro di marzo 2023, ma resta comunque limitata alle nazionalità dell’elenco. Lo hanno ribadito in più occasioni anche gli esponenti dell’esecutivo, sebbene non abbiano ancora chiarito come e dove avverranno gli screening.

Su questa vicenda rimane comunque l’incognita della Corte di giustizia Ue che dovrà decidere se la garanzia finanziaria, prevista come alternativa alla reclusione, rispetta il diritto comunitario. La decisione non arriverà prima di un anno e mezzo, ma il governo potrebbe modificare la norma sotto esame per ricavarsi una via d’uscita. Intanto le strutture, date in gestione alla cooperativa Medihospes per 133 milioni di euro in quattro anni, non apriranno nella data prevista del 20 maggio. Il genio militare è in ritardo con l’allestimento.

Tornando alla definizione di paesi sicuri, il decreto legislativo 25/2008 stabilisce che si applica agli Stati non Ue dove «sulla base dell’ordinamento giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale» si può dimostrare che non sussistono, «in maniera generale e costante», atti di persecuzione, tortura, trattamenti inumani o degradanti o pericolo di violenza indiscriminata dovuto a situazioni di conflitto.

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È DIFFICILE CREDERE che questo quadro possa valere per l’Egitto di Al Sisi. «Il presidente è diventato tale dopo un colpo di stato, nel 2013. Nelle carceri finiscono oppositori, difensori dei diritti umani e sindacalisti, com’è successo a Patrick Zaki per qualche post sui social – attacca la deputata dem Laura Boldrini – Se l’Egitto è sicuro andrebbe chiesto alla famiglia Regeni». Il Cairo è strategico per il controllo dei flussi tanto che, senza troppe preoccupazioni per i diritti umani, a marzo la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ci ha stretto un accordo anti-migranti da 7,4 miliardi di euro.

STRATEGICO PER IL GOVERNO italiano è anche il Bangladesh, che guida la classifica delle persone sbarcate quest’anno: 3.400 su 17.600. Seguono Siria (2.400) e Tunisia (2.200). Due settimane fa Piantedosi ha incontrato, insieme al collega dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, la premier di Dacca Sheik Hasina proprio per parlare di contrasto dei flussi irregolari.

Il titolare del Viminale sta anche lavorando sui paesi di transito che rilasciano in maniera generosa visti turistici ai bangladesi. In primo luogo la Libia, che la premier Giorgia Meloni ha visitato l’altro ieri per discutere con i governi di Tripolitania e Cirenaica, dalle cui coste si imbarcano. Nel futuro prossimo dopo la traversata potrebbero ritrovarsi in Albania invece che in Italia.