«Non può ritenersi che l’attività perpetrata dalla guardia costiera libica sia qualificabile come attività di soccorso per le modalità stesse con cui è stata esplicata», perché c’erano uomini armati, che hanno esploso colpi di arma da fuoco, e perché Tripoli non può garantire in alcun modo un porto sicuro. È una sconfessione del governo su tutta la linea quella che si ritrova nel provvedimento con cui il giudice del tribunale civile di Crotone Antonio Albenzio ha confermato la sospensione del fermo della nave Humanity 1, detenuta nel porto calabrese il 2 marzo scorso dopo il soccorso di 77 naufraghi nel Mediterraneo.

Una sconfessione politica, perché mentre il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi continua ad andare nel paese nordafricano a fare accordi anti-migranti e finanziare la sedicente «guardia costiera» libica i tribunali italiani di ogni ordine e grado e le agenzie internazionali ribadiscono che quello non è un luogo sicuro. Una sconfessione giuridica, perché è l’ennesimo provvedimento che disapplica il decreto 1/2023 con cui da un anno e mezzo l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni ostacola in tutti i modi le operazioni di soccorso delle ong.

Una sconfessione operativa, perché dimostra che le ricostruzioni che vengono da Tripoli non sono affidabili e che capitanerie di porto, questure e fiamme gialle sbagliano a trascriverle nei verbali di fermo amministrativo. Una sconfessione comunicativa, perché soltanto qualche giorno fa Piantedosi aveva difeso in parlamento i libici che aprono il fuoco durante i soccorsi, «erano solo colpi di avvertimento» ha affermato in rapporto all’analoga vicenda che ha coinvolto Mediterranea, e perché il Viminale si era detto tranquillo che le sospensioni cautelari dei fermi non sarebbero state confermate.

L’udienza di merito è stata fissata per il 26 giugno ma a questo punto, a meno di colpi di scena, l’esito appare scontato. Il giudice, infatti, ha ricostruito il quadro in modo puntuale: alla luce del diritto internazionale l’ong ha agito correttamente adempiendo all’obbligo di soccorso, senza creare alcun pericolo per i naufraghi. Diversamente da quanto fatto dai libici. Tra l’altro è stato provato che la loro versione, su cui si basa la sanzione alla nave umanitaria, non è suffragata da alcuna prova documentale.

«È importante che il tribunale non consideri le attività del centro di coordinamento dei soccorsi di Tripoli e della cosiddetta guardia costiera libica come operazioni di ricerca e salvataggio, ma come respingimenti illegali verso un paese non sicuro – scrive Sos Humanity in un comunicato – Da anni siamo testimoni nel Mediterraneo proprio di queste violazioni della legge, che ora sono state riconosciute come tali anche dal tribunale civile di Crotone». Dall’inizio delle sue operazioni, nell’agosto 2022, la nave Humanity 1 ha salvato 2.223 persone.