Era un lunedì, il 21 ottobre del 2019 e a Santiago del Cile regnava il caos. Le strade erano piene di militari e centinaia di migliaia di persone partecipavano a una protesta all’Alameda, la via principale della città. Cristi stava camminando cercando suo figlio Damián Toro, di 17 anni. Un paio di ore prima si erano incontrati alla metro, lui le aveva detto che sarebbe andato alle proteste contro il governo di Sebastián Piñera. Suo figlio non era mai stato un’attivista, era sempre stata lei quella attenta alla politica in famiglia, quindi credeva che Damián volesse solo vedere quello che accadeva spinto dalla curiosità.

I CARRI IDRANTI lanciavano acqua sulla folla, l’urlo delle sirene sovrastava quello dei manifestanti. Cristi si faceva largo cercando il viso di Damián, la situazione era troppo tesa: voleva solo portare il figlio a casa con lei al sicuro. E poi d’improvviso Cristi si è sentita stringere dal terrore, ha visto suo figlio: stava avanzando verso il centro delle proteste. «Mi sono spaventata tantissimo – ricorda Cristi – non avevo idea che Damián sarebbe andato fra le fila della Primera Linea», ragazze e ragazzi che dal primo giorno dei disordini si sono frapposti fra le migliaia di manifestanti e gli agenti delle forze dell’ordine, facendo da scudo ai cittadini, lanciando pietre o molotov. «Ho cercato di convincerlo a venire a casa, ma non c’è stato nulla da fare». Poco prima che scattasse il coprifuoco imposto per le proteste sono dovuta rientrare, lasciando lì mio figlio», racconta Cristi.

Damián è sempre stato un ragazzo molto tranquillo; usciva con gli amici, studiava: come qualsiasi adolescente. Cristi non avrebbe mai immaginato che per un solo giorno di proteste la loro vita sarebbe cambiata per sempre: il 21 ottobre del 2019, mentre lo aspettava a casa, Damián è stato arrestato per aver lanciato una molotov e sottoposto a carcerazione preventiva in attesa del processo. È tornato in libertà solo cinque mesi dopo: il 26 marzo 2020.

COME SPIEGA MARIA Magdalena Rivera, 63 anni, avvocata del caso: «Damián è stato tenuto in prigione preventiva così a lungo per essere da esempio agli altri adolescenti che partecipavano alle proteste. La prigione preventiva è stata utilizzata per fermare i disordini: per tenere in carcere chi avrebbe partecipato alle manifestazioni e per scoraggiare gli altri». Rivera è la coordinatrice di Defensa Popular, organismo cileno per i diritti umani attivo dal 2008: «In moltissimi casi i manifestanti arrestati sono già stati picchiati, torturati e minacciati durante il controllo di detenzione. Per quanto riguarda gli adolescenti detenuti abbiamo difeso Damián, Mauricio e Kevin. Kevin è stato minacciato di stupro dai carabineros».

Nel Senato cileno si sta discutendo un progetto di legge d’indulto per i dimostranti detenuti dall’ottobre 2019 presentato dal senatore Juan Ignacio Latorre, 43 anni, che dichiara a il manifesto: «È stata messa in atto una persecuzione politica contro molti manifestanti: cittadini che sono rimasti in carcere per un tempo lunghissimo senza motivo o con prove false. La società cilena continua a basarsi sul concetto del “nemico interno”, su cui si fondava la dittatura di Pinochet, per cui chiunque fosse considerato un pericolo per lo Stato, per le proprie idee o credo politico, veniva fatto sparire. Chiunque sia ritenuto un “nemico interno” è, ancora oggi, fortemente represso e criminalizzato».

IL 14 DICEMBRE SCORSO il presidente Piñera ha annunciato che se il disegno di legge d’indulto verrà approvato dalle Camere userà il veto presidenziale. Il senatore Latorre, presidente della Commissione del Senato per i diritti umani, spiega: «Uno dei problemi principali che abbiamo riscontrato è stata la mancanza di trasparenza nei dati. Si parla di migliaia di dimostranti detenuti, ma non si sa il numero preciso. Crediamo che i dimostranti arrestati siano più di 5mila e fra 300 e 500 i cittadini che sono ancora in prigione preventiva». Per lo stesso motivo è difficile stabilire quanti siano stati i minori arrestati durante le proteste; secondo i dati presentati dalla Defensoría Penal Pública dal 18 ottobre 2019 al 31 dicembre 2019 i manifestanti minori in prigione preventiva erano 55. «Ci sono casi di ragazzi detenuti, torturati e abusati sessualmente dalle forze dell’ordine – afferma Latorre -. Quella degli adolescenti e dei bambini è una situazione particolare perché molte proteste sociali derivano dal Sename».

 

 

 

OVUNQUE NELLA CAPITALE cilena, sui muri e sui cartelli durante le proteste, si legge «Basta Sename». Il Servicio Nacional de Menores è da anni al centro di fortissime polemiche: già segnalato da organismi internazionali come Human Rights Watch, nel luglio del 2019 la testata cilena Ciper ha rivelato una sconvolgente inchiesta della Polizia investigativa cilena (PDI) sugli abusi commessi all’interno del Sename. Il rapporto, che non è stato reso pubblico per 7 mesi, riguarda 240 centri gestiti dal Servicio Nacional de Menores, e denuncia che nel 2017 si sono registrati 2.071 abusi (310 di natura sessuale). Nell’inchiesta, di 257 pagine, la PDI conclude che nel 100% dei centri si sono commessi «in modo permanente e sistematico azioni che violano i diritti dei bambini e degli adolescenti» e che nel 50% dei centri si sono verificati abusi sessuali.

Negli ultimi giorni nella capitale cilena sono scoppiate forti proteste per un video diffuso il 22 marzo e realizzato da una vicina del centro gestito dal Sename Carlos Antúnez, a Providencia. Nel video si ascoltano le strazianti grida, provenienti dal centro, di un adolescente che chiede aiuto durante un presunto abuso o pestaggio. Sull’accaduto si è aperta un’inchiesta della procura; per quanto emerso fino ad ora i fatti si sarebbero verificati nel corso di un’operazione effettuata dai carabineros all’interno della residenza.

DAMIÁN PER 5 MESI è stato recluso in un centro del Sename insieme a ragazzi accusati di delitti comuni. Per Cristi è stata dura, tutto di lei, come madre, è stato messo in discussione: come si veste, i suoi capelli, l’educazione familiare. Lo shock per Damián è così forte che non vuole più manifestare, non vuole parlare di ciò che gli è accaduto e non vuole essere attivo politicamente. Durante i mesi di carcere ha vissuto esperienze violente e ha scritto lettere lunghissime a sua madre. La scrittura è ordinata e fitta, le parole si riversano sulla carta con tutta la loro forza. «Migliaia e migliaia di persone cercano di racimolare denaro con la stessa disperazione di un naufrago che nel deserto cerca una goccia d’acqua perché non vogliono vivere nella stessa povertà delle loro famiglie», scrive Damián riflettendo sull’ingiustizia della società in cui è cresciuto.

COME CAMBIA LA VITA di un 17enne che per un giorno di proteste passa mesi in carcere? Damián continua a scrivere e racconta la vita dei suoi compagni di cella, ragazzi di 14 anni, analfabeti, con genitori tossicodipendenti e che sono diventati drogati a loro volta. «Ci credi che questi ragazzi hanno una vita migliore in carcere che fuori?», scrive Damián. La sua scelta di andare fra le fila della Primera Linea quel 21 ottobre, per Cristi, è stato un atto viscerale. La speranza che si respirava, quando milioni di persone sono scese in piazza, e la violenza che usavano le forze dell’ordine era tale (oltre 8mila manifestanti hanno denunciato abusi e 460 sono stati accecati) che ha deciso di agire. Ma oggi prova solo timore, soprattutto per sua madre, che non si è fermata e vuole urlare con tutta la sua forza ciò che accade in Cile.

CRISTI OGGI SI TROVA NELLA SEDE dell’associazione dei familiari dei dimostranti incarcerati e a breve si svolgerà una manifestazione per richiedere la libertà dei detenuti. Cristi parteciperà e, mentre sta per uscire dalla sede, il suo cellulare squilla. È un messaggio di Damián, che legge con voce commossa: «Mamma, per favore, fai attenzione alla manifestazione».