Il paese da operetta, incattivito ma non serio, in cui la coalizione tra destra ed estrema destra che governa a Vienna si è sforzata di trasformare l’Austria, sprofonda nel ridicolo.

Di questo esito la grottesca commedia recitata nella villa di Ibiza costituisce il gustoso prologo. I protagonisti si pretendono tutti vittime. Il cancelliere Sebastian Kurz, si vuole pugnalato alle spalle dal suo alleato di governo. Quest’ultimo, il nazionalista xenofobo Heinz Christian Strache, vittima di un oscuro «complotto», che lo avrebbe indotto a mettere in scena inconfessabili ambizioni e patente stupidità. Lo scandalo, in verità, non consiste nel «tradimento» del leader nazional-populista intento a scambiare la democrazia austriaca con una patacca, ma nell’avere portato lui e il suo partito al governo del paese, affidandogli posizioni chiave. E di questo Sebastian Kurz non è affatto vittima, ma in tutto e per tutto artefice. Fino al punto da faticare a liberarsi, prima delle elezioni anticipate che dovrebbero svolgersi il prossimo settembre, dei ministri dell’Fpö, il partito di Strache, compreso il potente ministro dell’interno Kickl, che, in quanto tale, dovrebbe indagare sulle malefatte dei suoi sodali. E, del resto, è un vizietto non nuovo per la destra austriaca dichiararsi vittima di ciò di cui è stata in realtà complice.

Un armamentario ideologico rozzo e infestato di puerili mitologie, come quello messo oggi in campo dalle destre europee, è una vera e propria carta moschicida per avventurieri d’ogni risma e di nessun talento.

La vicenda austriaca mostra meglio di qualunque rappresentazione didascalica a cosa potrebbe andare incontro una eventuale alleanza tra i grandi partiti di centrodestra e le formazioni nazionaliste e xenofobe europee che rappresentano ormai percentuali appetibili. Nel nucleo occidentale dell’Unione europea, fatta eccezione per l’Italia con al governo un partito appassionato dell’Fpö (e naturalmente dell’Austria), esistono ancora anticorpi che sbarrano la strada del governo alle destre più radicali, ma nell’Est del Vecchio continente non è così. Il Partito popolare europeo ha già avuto i suoi problemi con l’indigesto Victor Orbán e la sua «democrazia illiberale» che non riesce a cacciare, limitandosi a «sospenderlo». Ora c’è da scommettere che si disporrà in difesa di Sebastian Kurz, quando invece è l’intero governo viennese ad essere responsabile del suo personale politico e degli atti inconsulti a cui si abbandona.

Nel 1974, Willy Brandt, allora cancelliere dette le sue dimissioni perché un suo strettissimo collaboratore, Günter Guillaume si rivelò essere un agente della Stasi. Sebbene le informazioni trasmesse da quest’ultimo ai servizi della Repubblica democratica tedesca fossero alquanto irrilevanti, Brandt si assunse comunque la responsabilità politica dell’accaduto che gettava un’ombra sulla Ostpolitik, la politica di distensione con la Germania dell’Est, lasciando di conseguenza il suo incarico. C’è da dubitare fortemente che il cancelliere popolare austriaco faccia altrettanto.

Per quanto, nella sostanza, la sceneggiata filorussa del vice cancelliere Strache sia altrettanto irrilevante, il danno d’immagine è enorme e la fiducia nel governo di Vienna completamente a terra. Ma erano altri tempi ed altre stature politiche. Ben lungi dal pensare di uscire di scena Kurz spera di sottrarre consensi ai suoi improvvidi alleati in vista di un governo monocolore. Si annuncia così una campagna elettorale «sporca» nel corso della quale il credito dell’Austria non potrà che sprofondare ancora di più.