Cinque giorni dopo aver rovesciato Ali Bongo Ondimba, il nuovo uomo forte del Gabon, il generale Brice Oligui Nguema, ha prestato giuramento come «presidente della transizione». «Senza alcuna violenza e spargimento di sangue, il Comitato per la transizione e il ripristino delle istituzioni (Ctri) ha rovesciato un regime che ha negato la democrazia per anni – ha detto al suo insediamento Nguema – Ora vogliamo instaurare istituzioni più democratiche, liberare i prigionieri politici e organizzare elezioni libere», negando di fatto il possibile riconteggio dei voti delle presidenziali del 26 agosto.

In questi giorni, il capo della guardia pretoriana ed ex fedelissimo del presidente Bongo, da lui rovesciato, si è imbarcato in una vera e propria «maratona» di incontri per garantirsi «una presidenza il più possibile condivisa» e amplificata mediaticamente. Ha incontrato le diverse forze politiche e della società civile, oltre ai diplomatici e alle organizzazioni internazionali, per spiegare di aver preso il potere per «evitare un bagno di sangue», porre fine alla «corruzione della dinastia Bongo» e ridistribuire «l’immensa ricchezza del Gabon ai più poveri».

AZIONE MEDIATICA e diplomatica che ha portato i propri frutti. Se da una parte l’Unione africana (Ua) ha sospeso il Gabon e insieme alla Nigeria – una delle principali potenze regionali – ha espresso allarme per un’«autocrazia militare contagiosa», dall’altra gran parte della comunità internazionale ha sottolineato che il colpo di stato in Gabon «non può essere paragonato alla crisi in Niger», affermando che «gli ufficiali sono intervenuti, dopo che il deposto presidente Bongo aveva vinto un’elezione illegittima».

«Possiamo affermare che poche ore prima del colpo di stato militare, c’è stato un colpo di stato istituzionale in una dittatura che durava da oltre 50 anni» ha detto lo scorso giovedì il capo della politica estera dell’Ue, Josep Borrell, dopo un incontro con il presidente della Comunità economica dell’Africa occidentale (Cedeao), il nigeriano Bola Tinubu.

Ancora ieri la maggioranza della popolazione ha espresso, in piccole manifestazioni spontanee, la propria gratitudine verso un esercito che «li ha liberati dal clan Bongo». Ma iniziano a vedersi le prime crepe tra le diverse forze politiche dell’opposizione, soprattutto riguardo alla «durata della transizione», mai precisata dai militari.

Le opposizioni restano divise tra il loro principale esponente Albert Ondo Ossa, leader della piattaforma Alternance 2023, che insiste per la vittoria alle presidenziali del 26 agosto, e altri partiti che non intendono restare spettatori della «transizione».

DOPO AVER ringraziato calorosamente l’esercito a nome del popolo gabonese per aver «fermato un colpo di stato elettorale», Mike Jocktane, portavoce della piattaforma, ha invitato la giunta militare a «riprendere il conteggio delle votazioni» che indicherebbero come vincitore e presidente Ondo Ossa.

In un’intervista a TV5 Monde, Jocktane ha definito la presa di potere dei militari una «rivoluzione di palazzo» puntando il dito contro la sorella di Ali Bongo, Pascaline, coinvolta nella manovra del colpo di stato per mantenere in atto «il sistema Bongo». «La situazione attuale resta ancora confusa – ha detto all’Afp Bernard Christian Rekoula, esponente della società civile in esilio – Siamo soddisfatti della caduta del clan Bongo, ma non vogliamo che il nostro paese faccia la fine della Guinea Conakry, dove con Doumbouya la transizione democratica è diventata un miraggio».