Compositore fra i noti e eseguiti al mondo, Giorgio Battistelli, classe 1953 (la sua nuova opera debutterà alla Scala per l’apertura dell’Expo) dal maggio 2011 ha ripreso la direzione artistica dell’Orchestra della Toscana (nata 30 anni fa per volontà di Luciano Berio), che già aveva ricoperto dal 1996 al 2002. Ora un diapason che a mo’ di forchetta avvolge un boccone di spaghetti come fossero note, naturalmente contemporanee, è il suo biglietto da visita. Si chiama Play-It! questa piattaforma aperta sulla musica che si fa oggi in Italia. La terza edizione si è appena conclusa, premiando Azio Corghi e guadagnandosi il Premio della Critica musicale “Franco Abbiati”.

Giorgio-Battistelli

Partiamo da qui, da questa scommessa per niente scontata ma alla fine vinta. Per lei che non è fiorentino, ma che certo di Firenze in tutti questi anni un’idea se l’è fatta, qual è il rapporto che lega la città alla contemporaneità?

Play-it! è il frutto di una scelta perseguita con tenacia, in un momento in cui la musica d’arte è messa all’angolo, vittima di gravi amputazioni economiche, sempre più assente sotto i riflettori, nelle programmazioni e sulle pagine dei giornali. Firenze mi sembra il luogo adatto per ridurre la distanza fra la ricerca musicale più avanzata e il pubblico. Grazie al Maggio Musicale Firenze ha sempre avuto una funzione di vetrina internazionale della modernità. Negli ultimi anni la situazione è cambiata, la programmazione non si è differenziata togliendo spinta all’innovazione. Penso che una città di così straordinarie ricchezze, di ieri ma anche di oggi, che vanta un sindaco cosi innovativo come Matteo Renzi, sul fronte culturale manca di di analoga propulsione.

A questo proposito, la creazione del nuovo Parco della Musica alle Cascine cosa rappresenta, non solo per le istituzioni e la vita musicale della città?

L’apertura del nuovo Teatro dell’Opera è sicuramente un momento importante della vita musicale italiana. Condivido la volontà politica di far diventare Firenze la capitale italiana della musica. E’ necessario lavorare per raccogliere le forze più dinamiche, il Maggio, l’Orchestra della Toscana, gli Amici della Musica, la Scuola di musica di Fiesole, punte di diamante che se fossero sufficientemente coordinate in un sistema produttivo e operativo potrebbero offrire una straordinaria visione progettuale non solo per il nostro paese.

Al di là della crisi che investe l’Italia, Firenze dà l’impressione comunque di muoversi. Di non vivacchiare solo sugli allori. Esperienze come Fabbrica Europa, spazi come la Strozzina, il Museo Marini, la Stazione Leopolda, i Cantieri Goldonetta con Virgilio Sieni, per non dire della vivacità del fronte cinematografico, sono testimoni di uno svecchiamento in atto, anche di natura intellettuale.

La tendenza della città inevitabilmente è quella di adagiarsi sui risultati ottenuti nel passato. Oggi bisogna rispondere alla forte competizione interna e esterna. Bisogna offrire reali motivazioni al pubblico, sia esso cittadino, regionale, nazionale o internazionale. Si dovrebbe venire a Firenze da Barcellona, Berlino, Londra, Vienna, perché solo qui si possono vedere certe cose che non sono il David o Ponte Vecchio. Occorre ospitare ma soprattutto produrre occasioni da vivere come un unicum. Da questo punto di vista credo che la situazione sia per così dire troppo frazionata. Il che non aiuta l’individuazione, la circuitazione e la trasformazione del pubblico. La rincorsa verso i giovani pecca di improvvisazione, spesso sono operazioni di facciata che servono più alle istituzioni che le organizzano e non alla crescita reale di un nuovo pubblico. Si tratta al contrario di processo organico da alimentare prima di tutto con la scuola, con continuità e senza forzature.

Lei gira il mondo. La sua visione non localistica in che rapporto mette Firenze e l’Europa?

Una delle differenze che noto di più è la velocità con cui si realizzano i progetti. Firenze è ancora troppo lenta, troppo divisa. Ma è compito della politica offrire una visione del futuro, percorribile e quanto più amplificata. Firenze e la Toscana sono da sempre terra di accoglienza, una terra dove l’ospitalità è stata vissuta come un arricchimento culturale, mai tollerata ma naturalmente metabolizzata e resa coesa con il tessuto socioculturale. Per questo Firenze che si specchia nel suo glorioso passato deve saper guardare al futuro.